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Fincantieri Egitto

Non solo Fremm. Export italiano di armamenti: fatti, numeri e scenari

L'approfondimento di Giuseppe Gagliano sull'export italiano di armamenti

 

È difficile credere che un Paese che si ispira — almeno formalmente — alla cooperazione e alla pace internazionale possa addirittura avere l’ardire di sottolineare con disappunto nell’annuale report “Relazione della presidenza del Consiglio sull’import ed export di armi” come le recenti restrizioni imposte alle “esportazioni verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, avendo suscitato perplessità presso le autorità locali, possano configurare un potenziale rischio di natura economica per tutto il volume dell’export nazionale generalista verso i citati paesi”.

Detto in altri termini: il divieto imposto dall’ex Presidente Conte non farà altro che danneggiare la nostra esportazione di armi avvantaggiando naturalmente altri paesi. Una semplice constatazione di fatto.

Ma non è certo la sola cattiva notizia per il reparto militare italiano: infatti la dimensione delle autorizzazioni individuali per le esportazioni che era di 4,0 85 miliardi nel 2019 è passata ai 3,9 miliardi nel 2020 con una flessione del 3,86% che è tuttavia almeno solo in parte compensata dall’aumento per le autorizzazioni di trasferimento, aumento che percentualmente si assesta sul 177% rispetto all’anno precedente. Naturalmente il trasferimento al quale allude la relazione è quello relativo ai materiali di armamento all’interno dei paesi dell’Unione europea e della Nato.

Un’altra voce negativa è il totale del valore delle esportazioni che è sceso del 10% rispetto al 2019 arrivando soltanto a toccare i 4,6 miliardi di euro. Anche il numero delle autorizzazioni individuali per le esportazioni ha subito un calo moderato passando dalle 2186 del 2019 alle 2054 del 2020.

Anche se questa contrazione è determinata da un evidente decremento nel contesto dell’America centro meridionale e dell’Oceania, le prime aree di export di armamenti per l’Italia si confermano essere il Nord Africa e il Medioriente con un valore di circa 38,57% pari sostanzialmente a 1 miliardo e mezzo di euro. A cosa si deve una cifra di tale natura? Certamente alle due navi Fremm vendute al Cairo, alle esportazioni al Qatar per complessivi 212 milioni di euro, a quelle all’Arabia Saudita per un valore di 44 milioni di euro e agli EAU stimabile intorno ai 117,6 miliardi di euro.

Significativo il fatto che l’Italia abbia venduto alla Libia quasi 6 milioni di euro di armamenti. Credo sia superfluo osservare che una tale esportazione di armi sia finalizzata al rispetto letterale dei diritti umani.

Per quanto riguarda l’Africa, questa ha un peso di una certa rilevanza: ad esempio l’Africa sub-sahariana percentualmente si aggira intorno allo 0,92% ed in particolare il Senegal dimostra di essere il primo importatore di armi per un valore di quasi 27 milioni di euro. Al secondo posto il Ciad con cinque, e il Mali con quasi 1 milione di euro.

Significativo il fatto che, in percentuale, il volume più alto dei trasferimenti sia quello che è stato attuato nei paesi al di fuori dell’Unione europea e della Nato. Parliamo di una cifra che si aggira percentualmente intorno al 56,1%.

Un altro dato di estremo interesse, nell’Italia dell’articolo 11 della Costituzione, è il fatto che le industrie aeronautiche abbiano registrato i valori più alti rispetto ad altri settori. Infatti quattro sono gli operatori del settore che svettano nella classifica della relazione: Leonardo (31,58%), Fincantieri (25,27%), Iveco defence vehicles (8,66%) e Calzoni (5,81%). Solo queste industrie rappresentano percentualmente circa il 71% del valore degli scambi.

Quanto al peso delle banche questo rimane sostanzialmente stabile visto che ancora una volta sia Unicredit che Intesa sono in pole position.

Tuttavia, il volume complessivo delle transazioni è certamente diminuito rispetto all’anno precedente: stiamo parlando di 7,8 miliardi di euro rispetto ai 10,3 miliardi di euro dello scorso anno. Se è individuabile una novità sotto questo profilo è certamente la presenza della Banca di credito cooperativo di Barlassino scrl ex cassa rurale nata per lo sviluppo economico e sociale della Brianza tra Como e Milano.

Questi dati preliminari confermano come la produzione militare italiana risponde a logiche di profitto da parte delle aziende produttrici di armamenti — come è ovvio che sia — ma confermano anche che non sono in grado di tradursi in capacità di influenzare le scelte politiche dei paesi destinatari dell’export italiano, non sono cioè in grado di creare sfere di influenze regionali in grado di modificare gli equilibri politici a nostro favore.

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