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Chatbot

Non solo ChatGpt. Siamo già circondati da chatbot

L’intelligenza artificiale che parla ci piace tanto, ma è tra noi già da un po’ e non ci è sempre amica. Il post di Mario Marchi

 

Non è quanto può davvero fare, di che pezzi della nostra vita possa prendere il controllo e quali possa rendere più efficienti: quello che sta facendo esplodere l’affascinante popolare sull’intelligenza artificiale è il suo modo di comunicare con noi.

Nella rete, dove con sempre maggior coinvolgimento e normalità, siamo passati dalla comunicazione della parola a quelle del post, dal parlarsi al chattare, ecco che il nuovo interlocutore diventa il ChatBot.

Ci piace, ci affascina, perché sembra uno di noi, ma risponde a quello che noi vogliamo.

Allora conosciamolo, questo nuovo compagno della rete, perché in realtà era nelle nostre vite già da un po’.

In principio era femmina, si chiamava Eliza. A crearla i ricercatori del MIT, guidati da Joseph Weizenbaum. Eliza era gentile, ma più curiosa che loquace. Qualsiasi cosa le si dicesse, poneva domande per avere informazioni.

Si continuò, convinti — chissà perché — che l’intelligenza artificiale dialogante dovesse essere donna e così arrivò Alice (Artificial Linguistic Internet Computer Entity): sviluppato a partire dalla fine degli anni ’90, Alice è stato uno dei primi chatbot ad utilizzare tecniche di intelligenza artificiale per generare risposte più naturali e comprensibili. Intorno ad Alice si sviluppò una vera comunità che ancora oggi contribuisce alla crescita dell’AI, rendendola sempre più “umana”, tanto nel sapere, quanto nel dialogare.

Nel 2005 fu la volta di Mitsuku, un chatbot talmente progredito da venir perfino premiato dalla comunità internazionale dei ricercatori per la sua capacità di simulare la conversazione umana.

Nel frattempo, senza che ce ne accorgessimo, chatbot ad usi più svariati, si diffondevano e popolavano la nostra vita quotidiana.

Interagivano con noi, quando scrivevamo ad un servizio di assistenza on line, dialogavano con noi quando prenotavamo visite mediche o quando ci rivolgevamo on line alla nostra banca.
H&M utilizza un chatbot per aiutare i clienti a trovare i prodotti desiderati e per fornire assistenza con gli ordini, la compagnia aerea olandeseb KLM ne ha uno che aiuta i clienti con le prenotazioni dei voli, il check-in e le informazioni sui voli.

Insomma, senza accorgercene, ci sia un poco alla volta abituati ai chatbot, a volte incorrendo — però — in qualche inconveniente.

Nel 2018, un chatbot utilizzato dal servizio sanitario nazionale del Regno Unito per fornire informazioni sui sintomi e sui servizi medici iniziò a fare pasticci e causare ritardi nell’accesso ai servizi medici di emergenza.

Un vero guaio fu in casa Microsoft, con il chatbot chiamato Tay usato per animare Twitter con una comunicazione adatta ai più giovani. Tay entrò così in sintonia con gli utenti, da iniziare a diffondere insulti, frasi razziste e venne ben presto messo a tacere.

Ora il nostro nuovo “amico” ChatGPT, ha imparato ad essere prudente. Ci dice tante cose, ma non si sbilancia, soprattutto se gli chiediamo consigli troppo personali.

Ha imparato che a sbagliare siamo bravissimi già da soli.

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