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Pluriverso

È ora di parlare di pluriverso. Parola di prof

Il pluriverso diviene un nuovo spazio dell’immaginario collettivo, surrogato perfetto dei metaluoghi nati per ritornare al punto di partenza. L'articolo di Ivo Stefano Germano, professore all'Università degli Studi del Molise, tratto dal quadrimestrale di Startmag.

Intrattenere, intrattenere, intrattenere. Un’epoca di messaggi che puntano direttamente ai sentimenti, al fine di una completa immedesimazione non poteva che ambire al trasloco assoluto, ad andare oltre e più avanti il reale. Fine o inizio d’epoca non è dato sapere. Quel che è certo riguarda la torsione simbolica delle prassi consolidate iperconnesse, della polarizzazione, delle bolle in costrutto economico, in dato strutturale.

Soprattutto in un campo da gioco diverso, il pluriverso e la grande “questione algoritmica”, i cui riflessi, più o meno istantanei, sperimentiamo, in quanto follower sui social media. La condivisione, la partecipazione, la circolazione hanno assunto specifico ed un valore simbolico ed economico. Ad attenderci, destino o condanna, una grande simulazione digitale, in grado di trasmutare il metaverso, un nome su tutti Meta, in pluriverso generativo, al cui interno, declinare i concetti di stazione e di tempo. In termini di economia politica del segno, il pluriverso ha a che fare con la creazione e la distribuzione di macrotendenze e attitudini al consumo intensivo del tempo libero. In poche parole, dopo varie circonvoluzioni ritorniamo al punto di partenza, cioè l’Internet. In particolare cosa farne, come riutilizzarla.

Anche in questo caso, il termine è derivato da un romanzo cyberpunk, Snow Crash di Neal Stephenson (1992), in cui si narra di meta-capitalismo e distopia. Non inganni la prosopopea, se non proprio l’eloquenza con cui s’introduce il discorso sul pluriverso, come arditissimo “effetto speciale”, in grado di tramutarsi in “effetto sociale”. A dirla tutta, non siamo molto distanti da una precisa direzione che, dall’introduzione dei luna park contraddistingue la volontà di costruire, meglio, concepire mondi paralleli.

UNA COMUNITÀ IMMAGINARIA DI CONTENUTI

Ora, metaverso, pluriverso, al riparo da ogni tassonomia, filologia, semantica, tende a coincidere col predominio della previsione algoritmica, rispetto al piano della distribuzione di contenuti digitali. In fuga dalla fuga, dove diventa tremendamente facile isolarsi e rompere ogni rapporto. Il pluriverso rinvia al segreto alchemico che nella “nuova destinazione d’uso”, ritrova ben più di una ragione e argomento. La strada per l’ognidove digitalizzato riconosce il proprio alpha e omega nel bagaglio di circostanze indotte ludiche. Ora che, persino chi pare cavarsela egregiamente, sta male o peggio di chi non ce la fa, poiché non ci regge la desertificazione della realtà.

Marc Augè, scomparso quest’estate, ai primi anni Novanta interpretò l’antropologia dei mondi contemporanei grazie al concetto di “non-luogo”, cioè l’assenza/presenza, l’anonimato e il protagonismo di luoghi e situazioni che scandiscono lo spazio, sempre più claustrale, rispetto al tempo, sempre più dilatato, della globalizzazione. Di fatto, prendendo atto della dittatura del tempo libero, sotto forma di speranza di un’altra vita più che dell’altro mondo possibile, per dirla alla Battiato. Un po’ folklorico, un po’ funzionale a ciò che non vuole essere più quel che è, oppure, diventare qualcosa di diverso dalla realtà virtuale. Una “comunità immaginaria” di contenuti dove la distribuzione diventa più rilevante delle prassi mediali diffuse e disperse. Contenuti che dovrebbero rappresentare, il condizionale non è d’obbligo, l’autobiografia di ognuno di noi, mentre, ad ogni situazione, contesto, racconto corrisponde la possibilità della vacatio, se non addirittura  della fuga ritmata dalla benedizione e maledizione, primo e secondo tempo della presa di coscienza: “l’andare per andare” e il chatwiniano “che ci faccio qui”.

Il pluriverso diviene un nuovo spazio dell’immaginario collettivo: surrogato perfetto dei metaluoghi che, fuor di categorizzazione e classificazione, sono fatti e nati per ritornare al punto di partenza.

IL METALUOGO ESISTE

Tutto è simulato e talmente artificiale in questa particolarissima “Repubblica del tempo libero”, almeno a dare intendimento al vanto delle parole scritte su quello che t’hanno promesso e s’avvererà incontrovertibilmente. Forzando le derive postmoderne nel night&day dell’umanario digitale che si complica la vita con un sublime tecnologico, a portata di stringhe, pov, simulazioni, post-produzioni, eccetera. Attenzione, tuttavia, a paragonarlo a metafore stinte, ad esempio,  “paradiso artificiale”,  “campo immersivo del sé”, dal momento che vivere, ricercare, sentire sono meno importanti della reazione immediata, verso un tutto, laddove non c’è che d’attendersi il nulla. Eredità letteraria di quei mondi là, elevati a potenza letteraria da Michel Houllebecq di Piattaforma e delle motivazioni che ci spingono a raggiungerli fisicamente, piuttosto che oniricamente immaginarli.

Il “Metaluogo” esiste, perché, direbbe il nostro Michel: “la libertà di cui ho goduto per gran parte della mia vita è stata quella di un aspirapolvere”. In realtà, respirando una pesante aria da patronato, da dopolavoro della sovversione postmoderna degli stili di vita, qui, trasformati in pluriverso. Tranquilli, non esiste nulla di libertario o scanzonato e non c’è più nessun taboo o veto, sprizzante energia e slancio vitale, armonie del mondo, meravigliosamente recuperate. Banalmente, temo, si risolva nel rammarico o nell’impedimento, a meno che non si voglia grattare la crosta delle ideologie alla moda per fare riaffiorare il caro e vecchio tema del doppio, trasversale a molte discipline e materie.

Dimensione raddoppiata dell’altro e del me stesso, in termini di doppiezza, poca trasparenza, oppure, repentina trasformazione. Nella letteratura italiana novecentesca, Pirandello e Svevo analizzano il doppio, drammaturgicamente il primo, soprattutto in Uno, nessuno e centomila, alla luce di una realtà labirintica in cui è inevitabile perdersi e disperdersi. Il soggetto pirandelliano, infatti, lotta e finisce per soccombere al disorientamento moderno, subendo, consapevolmente o inconsapevolmente, la trasformazione. Il tema del doppio è anche presente  ne La coscienza di Zeno di Italo Svevo, come discorso diretto indiretto, cioè nel rapporto tra l’io narrante e il lettore che sta alla base della struttura del romanzo.

L’io che racconta è anche ciò che si reduplica e che, soprattutto, non può essere mai in discussione. Il peso insopportabile della “doppia identità” è presente nella storia politica, in conseguenza del fenomeno antropologico-culturale del cosiddetto trasformismo. La migrazione/tradimento da una parte all’altra dello schieramento parlamentare diventa indice di un costume e di un’attitudine alla doppiezza, nel senso di varcare la soglia della sottile linea rossa fra pentimento e orgoglio. Il dubbio sulla propria persona, senza pensare di essere già stato comunque un altro, confessione pubblica per tornare ad essere libero, motivi che probabilmente invertono l’inerzia della ruota della vita. Tutto ciò ci riappare nel tema comico di Amphitruo, bel nome etrusco, utilizzato da Plauto, col pretesto di  parlar d’altro, cioè, guarda caso, di scambio di persona e di irreversibile crisi d’identità: con Giove che prende le sembianze di lui per passare una notte con sua moglie Alcmena e con suo figlio Mercurio che, complice, assume la sembianza di Sosia, il servo di Anfitrione. Con la variante che, alla fine, non nasce nessun Ercole, ma un doppio e doppione, tragicomico, dei regolamenti e delle norme. Lì un Dio prepotente che maramaldeggia e insidia la moglie di Anfitrione.

Nel cinema espressionista tedesco c’è il sosia, come colui che si trova ad essere padrone di un doppio destino, oggettivamente capace di superare i filtri e le barriere dell’organizzazione sociale. Il termine specifico è quello di Doppleganger: doppio del doppio. Il sogno, viceversa, rivela ciò che Arthur Schopenhauer aveva individuato nel “velo di Maya” da squarciare, per comprendere l’apparenza mondana e la volontà del soggetto a disvelarla. La dissociazione e lo stadio schizofrenico, lo sdoppiamento e l’inesistenza della realtà sono presenti anche nella filosofia di Friedrich Nietzsche. Così andranno le cose del e nel pluriverso? Chissà.

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