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Meloni e Butti strapazzano il piano Draghi-Colao sulla banda larga

La strategia italiana per avere la banda larga in tutto il Paese cambia ancora: il Comitato interministeriale per la transizione digitale chiamato ad apportare modifiche al piano (che fatica a partire) del precedente esecutivo Draghi

 

Il governo Meloni cambia il piano del governo Draghi sulla banda larga.

Su iniziativa del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alessio Butti è stato “istituito un gruppo di lavoro interministeriale per l’elaborazione di una proposta di revisione della Strategia italiana per la Banda Ultra Larga”, da definire entro 60 giorni.

“Tale revisione – si legge in una nota – avrà l’obiettivo di rilanciare il settore delle telecomunicazioni, favorire gli investimenti pubblici e privati, accelerare la realizzazione di infrastrutture 5G di nuova generazione, anche alla luce delle economie maturate nell’ambito del Pnrr per i progetti legati alla Banda Ultra Larga”, si legge in una nota diffusa al termine del primo Comitato Interministeriale per la Transizione Digitale (Citd).

Il comitato presieduto da, Butti, ha avuto all’ordine del giorno i temi della Banda Ultra Larga, del Sistema di Identità Digitale e del Fascicolo Sanitario Elettronico. Per quanto riguarda il dossier connettività, il sottosegretario ha evidenziato le criticità dei piani in corso, sottolineando “la necessità di recuperare i ritardi ereditati attraverso interventi correttivi che possano assicurare il completamento dei progetti nei tempi previsti”.

Non c’è solo la rivoluzione sul fronte dell’identità digitale e la conseguente ipoteca sull’esistenza di Spid cui sta lavorando un team interministeriale nel tentativo di arrivare a un solo strumento garantito dallo Stato che fonda quello voluto e lanciato da Matteo Renzi con la Cie e sia anche coerente con l’e-wallet europeo. Il governo ha dato difatti mandato al Comitato interministeriale per la transizione digitale (Citd) di riscrivere la Strategia italiana per la banda ultralarga che era stata delineata dall’ex ministro dell’Innovazione tecnologica Vittorio Colao e ovviamente inserita nel Pnrr, in quanto dorsale della digitalizzazione richiesta dall’Ue per ottenere in cambio i fondi per la ricostruzione post-pandemica.

COS’È LA STRATEGIA ITALIANA PER LA BANDA ULTRALARGA

Di Strategia Italiana per la Banda Ultralarga se ne parla da ben prima del governo emergenziale di Mario Draghi: fu finalizzata nel marzo 2015, al fine di ridurre il gap infrastrutturale e di mercato esistente, attraverso la creazione di condizioni più favorevoli allo sviluppo integrato delle infrastrutture di telecomunicazione fisse e mobili. Un gap interno al Paese ma che divideva soprattutto l’Italia dal resto d’Europa, molto più connessa.

ITALIA A 1 GIGA ANCORA FERMO

Esattamente un anno fa, nel maggio del ’21, era stato fatto l’ultimo tagliando, con la presentazione della Strategia Italiana per la Banda Ultralarga rinominata “Verso la Gigabit Society”. Ora un gruppo di lavoro interministeriale istituito su iniziativa del sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’Innovazione, Alessio Butti, avrà il compito di fare un aggiornamento dell’aggiornamento.

In realtà quel piano ha faticato a decollare. Ancora fermo al palo “Italia a 1 Giga” del luglio del 2021, che come il nome lascia intendere ha l’obiettivo di promuovere, attraverso l’intervento pubblico, investimenti in reti a banda ultralarga che consentano di garantire a tutti gli utenti una velocità di connessione in linea con gli obiettivi europei della Gigabit society e del Digital Compass.

Italia a 1 Giga è solo il primo dei piani di intervento pubblico della Strategia italiana per la Banda Ultra Larga – Verso la Gigabit Society (PDF), in attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), e prevede uno stanziamento di circa 3,8 miliardi di euro. E fa sorridere che sia rimasto bloccato, se si pensa che nel piano Colao di contro si parlava già del piano per una Italia a 5G.

Non a caso, scrivono oggi sul Sole 24 Ore, in quel di Palazzo Chigi si è iniziato a riflettere sul reindirizzamento di 900 milioni per progetti sul 5G e di 600 milioni per altre iniziative, ma senza più riconoscere agli aggiudicatari gli extracosti per l’aumento delle materie prime come era stato previsto dal decreto Aiuti-ter (Tim e Open Fiber gli operatori più interessati).

E sempre il quotidiano di Confindustria sottolinea quell’emendamento al decreto Pnrr-3, fresco di approvazione in commissione Bilancio del Senato che riconosce agli appaltatori delle tre principali gare del Pnrr – Italia a 1 Giga, backhauling per le antenne 5G e copertura 5G nelle aree remote – il diritto di ricevere dalla stazione appaltante un’anticipazione del 20% sull’importo dei contratti entro 15 giorni dall’avvio dell’esecuzione, soddisfacendo quindi quella sete di liquidi lamentata dai diretti interessati.

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