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L’India riuscirà a diventare una potenza nei semiconduttori?

Quattro anni fa, l'India ha avviato un programma di politica industriale sui semiconduttori. Il paese ha grandi ambizioni e non parte da zero, ma non mancano i punti critici. L'analisi di Aresu.

Il presidente Trump, dopo il suo incontro con Xi Jinping, ha parlato di un G2, legittimando l’idea di un possibile ordine bipolare, gradito a Pechino. L’India, Paese più popoloso al mondo, non ha nessuna intenzione di farsi incasellare in una prospettiva del genere. Anzi, avanza già in modo esplicito altre configurazioni, anche per quanto riguarda le filiere tecnologiche.

Per esempio, secondo il Ministro indiano che ha la responsabilità sull’elettronica e l’informatica, Ashwini Vaishnaw, il futuro della tecnologia sarà plasmato da un “D-3” (tre Paesi dominanti), di cui l’India è parte, insieme a Stati Uniti e Cina. L’India persegue anche nella tecnologia il tentativo di sfruttare la sua finestra demografica di crescita economica per aumentare le sue capacità, soprattutto nell’industria dei semiconduttori.

Il governo guidato da Narendra Modi ha avviato il suo programma di politica industriale sui semiconduttori circa quattro anni fa. Delhi non parte da zero, perché ha una forza storica nella progettazione, avviata con l’apertura del primo centro di progettazione di chip a Bangalore da parte di Texas Instruments. Secondo alcune stime, circa il 20% degli ingegneri di progettazione globali per l’economia dei semiconduttori opera dal territorio indiano. E quasi tutte le 25 principali aziende di semiconduttori globali possiedono centri di progettazione in India.

Lo scopo del governo è fare leva sul capitale umano e sulle capacità di progettazione per mettere l’India nel radar degli altri segmenti della filiera dei semiconduttori. Ci sono 16 progetti in corso di esecuzione in varie parti del Paese, in particolare in Gujarat, Assam e Uttar Pradesh. Il Ministro Vaishnaw ha confermato che 10 unità sono in costruzione e tre di esse inizieranno la produzione commerciale nel primo trimestre del 2026.

Come mostrato da un recente servizio di “Nikkei Asia”, il cuore dell’ambizione manifatturiera indiana è la nuova “Semicon City”, situata nella Dholera Special Investment Region in Gujarat. Quest’area, la cui prima fase di sviluppo è iniziata nel 2016, si estenderà su 920 chilometri quadrati una volta completata, superando la dimensione di Singapore. Si tratterà di un gigantesco ecosistema che ha la scala per competere con i grandi parchi scientifici e manifatturieri delle altre potenze tecnologiche asiatiche.

L’investimento più significativo in questa nuova città dei chip proviene da Tata Electronics, che sta investendo fino a 10 miliardi di dollari per costruire la prima front-end fab indiana. La fabbrica è in costruzione e dovrebbe diventare operativa entro due o tre anni, con una capacità di 50.000 wafer al mese e un impiego previsto di oltre 20.000 persone. Tata Electronics ha stretto una partnership con Powerchip Semiconductor Manufacturing Corp., un’azienda taiwanese.

L’India, in termini economici e politici, sta inoltre attirando l’interesse di aziende giapponesi: il campione di macchinari Tokyo Electron sta collaborando con Tata nella formazione del personale e prevede di aprire un centro di supporto nella regione. Il gruppo tecnologico Fujifilm investirà per avviare la costruzione di una fabbrica di materiali per chip nel prossimo anno.

Secondo Vaishnaw, l’India raggiungerà la competitività globale nei semiconduttori all’inizio del prossimo decennio. La strategia si concentra sulla formazione del talento, un aspetto in cui l’India ha un vantaggio: gli strumenti di progettazione di semiconduttori più recenti sono resi disponibili gratuitamente per gli studenti in 298 università in tutto il Paese.

Tuttavia, non mancano i punti critici. La mancanza di tecnologia di produzione costringe l’India a dipendere da altri Paesi, in un ecosistema dove i conglomerati indiani hanno grandi ambizioni ma non dominano la proprietà intellettuale. Nemmeno in un segmento, come quello dell’assemblaggio e dei test, che hanno sviluppato diversi altri Paesi asiatici.

La carenza di manodopera specializzata è un altro problema: l’India dispone di un enorme bacino potenziale che ha bisogno di diventare concreto, attraverso specifici programmi universitari e un’adeguata collaborazione tra industria e istituti per formare persone con competenze specializzate. Ad esempio, specialisti come gli ingegneri di progettazione per il packaging sono molto rari nel Paese.

Infine, c’è il tallone d’Achille delle infrastrutture, in particolare energia e acqua, che ha già avuto un impatto nelle capacità indiane sui data center, essenziali in questo ciclo dell’intelligenza artificiale e su cui l’India non ha attirato e mobilitato ancora investimenti all’altezza delle ambizioni da “D3”. L’infrastrutturazione energetica vede l’India molto dietro la Cina, con pesanti perdite nelle reti e molti interrogativi sulla stabilità delle trasmissioni. A lungo termine, anche la scarsità idrica è una preoccupazione: i cluster di data center come Maharashtra e Tamil Nadu sono già sottoposti a stress idrico.

Solo affrontando e superando questi ostacoli l’India potrà trasformare in prodotti concreti le sue potenzialità e le sue ambizioni, mantenendo la promessa di Modi dei “chip Made in India” ed entrando a pieno titolo tra le potenze dei semiconduttori.

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