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Huawei

Huawei, Zte e Samsung. Chi sono i liberisti che criticano il golden power made in Italy sul 5G

Novità nel dibattito sul golden power italiano su 5G e non solo. Non solo Huawei critica le norme del governo ma anche due intellettuali liberisti come Stagnaro e Saravalle.

 

Avanza il golden power all’italiana: si rafforza l’intervento del governo nella tutela delle nostre imprese strategiche contro le minacce estere e si prevede un sistema più generale di regole (estese alle reti 5G) per la prevenzione dei rischi informatici ormai dilaganti. Dopo il sì di ieri alla Camera dei deputati sul testo approvato dal consiglio dei ministri a settembre, il disegno di legge sul «perimetro di sicurezza nazionale cibernetica» viaggia ora per il Senato per la definitiva approvazione.

I termini di esercizio del golden power sono stati ridotti dai complessivi 120 a 80 giorni al massimo, ha scritto il Sole 24 Ore: “Ma l’esecutivo può attivare questo strumento anche sui soggetti extra Ue per le partecipazioni azionarie in società di infrastrutture e tecnologie critiche legate alla gestione dei dati e alla cybersicurezza, nonché le infrastrutture finanziarie, compresa Borsa spa”.

Il decreto è condivisibile ma è ancora discriminatorio e «va cambiato per far sì che valgano per tutti le stesse regole» ha spiegato ieri il ceo di Huawei Italia, Thomas Miao, all’inaugurazione della nuova sede romana del colosso cinese alla presenza del sindaco di Roma, Virginia Raggi. «La Germania – ha aggiunto il ceo Huawei – ha definito un perimetro di cybersecurity con regole chiare che valgono per tutti a prescindere dal Paese in cui ha sede il quartier generale dell’azienda». Per Luigi De Vecchis, presidente di Huawei Italia, «va emendato quel passaggio discriminatorio: le stesse regole devono valere per tutti e non si può pensare di lasciare fuori società come Huawei e Zte, ma anche Samsung, sulla base di un fattore geografico».

I riverberi geopolitici sono estranei a logiche di mercato, hanno tuonato liberisti del calibro di Carlo Stagnaro (del centro studi liberista Istituto Bruno Leoni) e Alberto Saravalle (avvocato dello studio Bonelli Erede). Prima in un seminario organizzato dalla Fondazione De Gasperi e oggi in un intervento sul Sole 24 Ore, Stagnaro e Saravalle hanno rimarcato le inconguenze economico dell’impalcatura giuridica: “Questa disciplina rappresenta una lama a doppio taglio. Da un lato, è un’opportunità per attirare gli investimenti se dà certezze al mercato: il governo cioè definisce asset e settori “strategici”, procedure e tempi brevi, criteri chiari e rimedi giurisdizionali efficaci. Dall’altro lato, è un rischio se il perimetro dei poteri speciali è troppo vago, se si alimentano timori sulla eccessiva discrezionalità o sul rispetto della rule of law. Per esempio, la nostra normativa si estende agli asset “ad alta intensità tecnologica”: si tratta evidentemente di una categoria tanto ampia da poter includere virtualmente ogni impresa tecnologica. Anche l’allungamento dei tempi per il processo autorizzativo, finora molto rapidi, può divenire un ostacolo. In qualche caso, potrebbe effettivamente essere necessario svolgere adeguati approfondimenti, ma in generale si rischia di mettere a repentaglio l’operazione per le difficoltà di mantenere aperte le linee di credito. Insomma, occorre evitare di dare il messaggio che le imprese italiane non sono realmente contendibili, perché prima è necessario acquisire il placet del Governo. Tuteliamo la sicurezza nazionale, ma ricordiamo che l’attrazione di investimenti esteri e la creazione di condizioni favorevoli alla crescita sono obiettivi non meno strategici”.

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