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Huawei

Come si difende Huawei in Italia

Articolo di Giusy Caretto

E’ il 5G il nuovo petrolio del mondo. Il controllo della nuova frontiera di internet è il nuovo bottino della guerra fredda che in questi mesi si sta combattendo tra Usa e Cina a colpi di dazi, minacce, finte tregue e arresti a sorpresa.

A dicembre 2018 su mandato di cattura americano con richiesta di estradizione, la polizia del Canada ha arrestato Meng Wanzhou, direttrice finanziaria di Huawei, il colosso cinese delle telecomunicazioni. L’arresto è la punta dell’icerberg della guerra commerciale tra i due Paesi, ma allo stesso tempo è la dimostrazione più evidente del vero settore conteso tra Washington e Pechino. Da mesi, infatti, gli Usa provano a mettere in guardia l’Europa sul potenziale pericolo di Huawei: la tecnologia, è convinto Donald Trump, è strumento di spionaggio da parte del governo cinese. In Gran Bretagna, Vodafone ha sospeso la fornitura della tecnologia Huawei, in Germania Angela Merkel ha espresso preoccupazione.

La partita sulla nuova frontiera di internet si gioca anche in Italia. Ed è molto delicata: Huawei ha stretto importanti accordi commerciali con Wind, Tim e Vodafone, per citare alcune delle società del settore di cui il colosso cinese è fornitore. Il Ministero dello Sviluppo Economico ha ribadito l’importanza della presenza del gruppo cinese nel nostro Paese, mentre a tranquillizzare gli animi ci ha pensato Luigi De Vecchis, presidente di Huawei Italia, in una intervista a Petrolio “New Wave”, programma Rai condotto da Duilio Giammaria. Andiamo per gradi.

BIG DATA: IL LORO POSSESSO NON COMPETE HUAWEI

Se il controllo del 5G è il bottino di guerra, i dati degli utenti sono la parte più interessante (commercialmente parlando) di quello che si dovrebbe trovare nel forziere. Ma così non è, almeno stando alle parole di Luigi De Vecchis: Huawei, pur fornendo la tecnologia, non avrebbe alcun controllo sui dati.

“Tutto ciò che riguarda i dati non ci compete. È l’operatore stesso che è proprietario e detiene questi dati, noi non abbiamo nessuna possibilità di prendere dati e nessuno ci ha mai detto di prenderli senza se e senza ma”, ha dichiarato De Vecchis, aggiungendo che “se mai dovesse esserci una tale richiesta non saremmo in grado di fornirli perché dovremmo andare, per esempio, da Telecom” per “chiedere la chiave di accesso a tali informazioni. E’ una leggenda metropolitana”.

CHIUDERE CON LA CINA?

“Se l’Europa crede che Huawei serva un Paese allora a questo punto deve prenderne atto e chiudere i rapporti. Ma credo sia sciocco prendere una posizione così drastica nei confronti di una situazione che non esiste”, ha affermato il presidente di Huawei Italia.

Ad oggi, nonostante le numerose e ripetute accuse da parte degli Usa, non ci sono prove di spionaggio. E l’Europa è divisa tra due fuochi: chiudere con la Cina significherebbe aumentare i prezzi della merce del 30%, mantenere i rapporti significa essere consapevoli che si potrebbe avere a che fare con una possibile “spia”.

LE PRESSIONI SULL’ITALIA

Anche l’Italia è stata messa in allarme (e sotto pressione). Secondo quanto rivelato dal Wall Street Journal, infatti, l’ambasciata americana a Roma ha convocato l’amministratore delegato di un grande operatore mobile italiano, invitando il gruppo a non usare più le apparecchiature di rete a marchio Huawei. La richiesta, però, sarebbe stata respinta immediatamente per mancanza di tecnologie sostitute sul mercato.

L’ITALIA MANTIENE I RAPPORTI

L’Italia ha già preso posizione. Il Ministero dello sviluppo economico ha affermato che non c’è alcuna intenzione di mettere al bando le aziende Huawei e ZTE (altra società di tecnologia cinese), dal momento che non è emersa alcuna evidenza dei pericoli.

“Con riferimento agli articoli di stampa su una presunta messa al bando delle aziende Huawei e ZTE dall’Italia in vista dell’adozione della tecnologia 5G, il Ministero dello Sviluppo Economico smentisce l’intenzione di adottare qualsiasi iniziativa in tal senso. La sicurezza nazionale è una priorità e nel caso in cui si dovessero riscontrare criticità – al momento non emerse – il MiSE valuterà l’opportunità di adottare le iniziative di competenza”, si legge nella nota ufficiale del MISE.

La nota smentisce di fatto un articolo del quotidiano torinese “La Stampa”, secondo cui il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, a cui è in carico il dossier, avrebbe affermato: “Siamo assolutamente sensibili ai timori espressi da Washington e concordiamo pienamente sulla necessità di uno stop nei confronti di Huawei e Zte”. Ma La Stampa si basava su indiscrezioni di Palazzo Chigi (qui la ricostruzione e l’approfondimento di Start Magazine con i subbugli del Dis).

HUAWEI IN ITALIA

La presenza di Huawei in Italia è rilevante: la società cinese detiene un terzo del mercato degli smartphone e ha accordi importanti con Leonardo (ex Finmeccanica) e Poste Italiane. In Sardegna, invece, Huawei ha un centro di innovazione insieme a Crs4, il centro di ricerca della Regione, il Joint innovation center di Pula, dove è stato messo a punto il supercomputer Ioc, Intelligence operation center.

HUAWEI E IL 5G

Ma è sul 5G, sicuramente, che Huawei vuole fare la differenza. La società cinese è coinvolta nello sviluppo della rete di ultima generazione in due aree: Milano e Bari-Matera. In quest’ultima è capofila con un investimento complessivo di 60 milioni di euro in 4 anni:  qui il 9 settembre, Huawei insieme a Tim e Fastweb hanno accesso l’antenna 5G.

A Milano Huawei lavora con Vodafone e collabora anche con 38 partner industriali e istituzionali per realizzare 41 progetti negli ambiti sanità e benessere, sicurezza e sorveglianza, smart energy e smart city, mobilita’ e trasporti, manifattura e industria 4.0, education e entertainment, digital divide.

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