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Giustizia In Lockdown

Giustizia in lockdown: alcuni tribunali ancora chiusi (incredibile ma vero)

Perché alcuni tribunali sono ancora chiusi? Fatti, esempi e commenti. Con il caso del tribunale di Napoli che respinge gli atti perché ha la casella PEC intasata perché i cancellieri lavorano da casa...

 

“Aiutateci a fare in modo che se ne parli”. È l’appello arrivato a Start da alcuni avvocati alle prese con lo stop, forzato, dei tribunali. Perché, come stiamo raccontando da settimane, se l’Italia è ormai in Fase 3, la Giustizia è ancora in piena quarantena. “Il sistema giudiziario non può essere meno importante dei bar e dei ristoranti”. Le proteste dei legali, che nelle scorse settimane si sono spogliati della toga e hanno abbandonato i codici in strada, finora hanno sortito ben poco effetto: i Palazzi di Giustizia, in piena autodichia (o semplice anarchia?), continuano a funzionare a macchia di leopardo. C’è chi ha riaperto, chi procede a singhiozzo e chi si affida unicamente ai mezzi telematici, con scarsi risultati. Abbiamo provato a riassumere tutti i paradossi di una Giustizia in lockdown che, denunciano gli avvocati, è stata “dimenticata dal ministro Alfonso Bonafede“.

A NAPOLI MAIL PIENE, GLI ATTI TORNANO INDIETRO

Succede persino che il tribunale partenopeo respinga gli atti perché ha la casella PEC intasata. Del resto, i cancellieri sono a casa per osservare le disposizioni sullo smart working ma, come avevamo già sottolineato, da remoto non possono lavorare perché non accedono ai registri informatici del PCT, il processo telematico. “Quindi anche se noi avvocati depositiamo telematicamente gli atti, non solo nessun giudice può vederli e dunque lavorarli, ma ci tornano proprio indietro”, si sfoga via social un legale.

giustizia ferma

A VENEZIA NON TROVI NESSUNO

“A Venezia – racconta a Start l’avvocato Chiara Daneluzzi – è in servizio meno del 30% del personale e, già prima del lockdown, aveva uno scoperto di organico di oltre il 40%”. “Stiamo parlando – precisa il legale – di un distretto di Corte d’Appello, non un tribunalino di Provincia”. Un altro avvocato raggiunto da Start racconta l’odissea per visionare un fascicolo: “Soprattutto a chi, come me, opera lontano dai grandi centri urbani, capita spesso di spostarsi da un tribunale all’altro: in questo periodo è successo più volte che, dopo aver fissato un appuntamento telefonico per recarmi in cancelleria, preso la macchina, fatti 200 chilometri per arrivare a destinazione, abbia trovato gli uffici desolatamente chiusi. Si citofona in tribunale e ti dicono che hai parlato con una persona che al momento non c’è e non ti fanno entrare. Si può lavorare così?”

UNA GIUSTIZIA IN LOCKDOWN POCO SMART

“Da un lato – spiega un terzo legale – ci sono cancellieri e giudici che giustamente non vogliono tornare al lavoro se non hanno prima idonee garanzie, ma hanno pure uno stipendio garantito. Sul fronte opposto ci siamo noi avvocati che dobbiamo farci bastare i 600 euro che il governo ha stanziato per due mesi alle partite IVA… Si può mandare avanti uno studio con quella somma? Lo trovo offensivo”.

CORTOCIRCUITO A 5 STELLE

Il cortocircuito, pare, è avvenuto tra due dicasteri, paradossalmente entrambi guidati da esponenti di Movimento 5 Stelle: il Ministero della Funzione Pubblica di Fabiana Dadone impone di far perdurare lo smart working fino al termine del periodo emergenziale fissato da Giuseppe Conte, cioè fino al 31 luglio 2020, ma quello della Giustizia di Alfonso Bonafede non ha approntato per tempo le adeguate misure telematiche.

CANCELLIERI TAGLIATI FUORI DAL SISTEMA

I cancellieri sono quindi costretti a stare a casa ma non hanno le autorizzazioni per accedere ed operare sui registri del PCT, cioè del processo telematico. “Per questo – prosegue l’avvocato Daneluzzi – gli atti, le istanze, tutto ciò che noi depositiamo, non viene lavorato e passato ai giudici. Accade da marzo e proseguirà così fino luglio. Per accedere ai tribunali, devi prendere appuntamento telefonico: peccato che però nessuno ti risponde, perché in servizio c’è una quota di personale che va dal 20% al 30%”.

GLI AVVOCATI: GIUSTIZIA IN LOCKDOWN O IN BLACK OUT?

“Le misure di distanziamento sociale hanno causato un vero e proprio black out della Giustizia, che si è fermata praticamente del tutto (tranne pochissimi affari cautelari o in materia di famiglia e minori) per oltre due mesi, senza alcun precedente nella nostra storia”, denunciano oggi gli avvocati dell’Organismo Congressuale Forense. “L’Avvocatura – si legge nel documento – ha da subito evidenziato che la disciplina circa le modalità con cui regolare le attività nella “fase 2” è stata lasciata in misura eccessiva alla discrezionalità dei singoli Capi degli Uffici Giudiziari e della Magistratura più in generale, con il risultato di centinaia (ben oltre i trecento) di “linee guida” e “protocolli” diversi per ogni singolo ufficio (e anche all’interno dello stesso ufficio), che molto spesso hanno anche interferito con le garanzie assicurate alle parti e alla loro difesa dalla disciplina processuale derivante dalla legge primaria”.

UDIENZE SCRITTE, LA CONNESSIONE NON REGGE IL VIDEO

Tutto è fermo, dunque, e anche le poche cause che potrebbero proseguire sono funestate da evidenti limiti tecnici: “Le udienze – ci viene raccontato – si fanno pressoché solo in forma scritta, manco in video, perché le connessioni video semplicemente non reggerebbero il carico”. E un altro avvocato spiega di avere ricevuto conferma della accettazione dell’atto solo scaduti i termini per l’inoltro dell’atto stesso: “Se ci fosse stato qualcosa che non andava con l’atto, ormai non avrei più potuto cambiarlo. Al cliente cosa potevo raccontare?”

TRIBUNALI VUOTI, LA VIDEODENUNCIA

Nei giorni scorsi gli avvocati dell’Organismo Congressuale Forense avevano girato un dossier video per denunciare la desolazione in cui versano gli uffici giudiziari del Paese, da nord a sud. Il filmato può essere visionato per intero qui. “Abbiamo scelto come colonna sonora quella del film Il tè nel deserto, che ci sembra rappresentare alla perfezione il clima di generale abbandono – ha spiegato Giovanni Malinconico, Coordinatore dell’OCF – da Milano a Napoli, da Pordenone a Messina, da Genova a Bari, ovunque le stesse immagini: dentro i palazzi il vuoto, le udienze rinviate, il silenzio della Giustizia. Fuori, le code degli utenti, talvolta le polemiche, spesso i disservizi”.

ASPETTANDO BONADEFE

“Sono ormai innumerevoli gli appelli lanciati al Ministro Bonafede perché intervenga – conclude Malinconico – le mancate risposte però non ci hanno convinto a desistere: rinnoviamo l’invito al Guardasigilli a prendere in mano la situazione. Giustizia non vuol dire solo occuparsi di correnti della Magistratura o di Csm. Giustizia vuol dire aver cura dei diritti dei cittadini. Un dettaglio che ormai sembra passato del tutto in secondo piano”.

LITI E INSULTI SUI SOCIAL TRA AVVOCATI E CANCELLIERI

“È una situazione ingiustificata che sta esasperando gli animi”, racconta a Start un altro avvocato. “Nelle ultime settimane un collega ha scritto sul proprio profilo Facebook che bisognerebbe tornare a lavorare con buona pace delle resistenze dei dipendenti pubblici ed è stato attaccato da alcuni cancellieri del nostro tribunale, che hanno persino minacciato lui e gli avvocati che avevano espresso solidarietà di segnarsi i loro nomi per prendere oscuri provvedimenti quando sarebbero tornati in cancelleria”.

IL TIMORE CHE AL LOCKDOWN SEGUA LA PAUSA ESTIVA

Su tutto aleggia poi il timore che, finito il lockdown, la Giustizia venga paralizzata dalla consueta pausa estiva. “Già adesso, ogni causa è rinviata a settembre”, denuncia uno dei tanti che ci ha scritto a seguito degli articoli che abbiamo pubblicato sulla Giustizia in lockdown. “Se così fosse, tribunali chiusi a febbraio riaprirebbero di fatto solo dopo sei mesi”. Un danno non solo per gli avvocati, colpiti da una quarantena durata più del doppio rispetto agli altri lavoratori, ma anche per chi è in attesa di giustizia e, ovviamente, per l’intero sistema, già in affanno per via dello spaventoso arretrato accumulato ben prima del lockdown, figurarsi dopo.

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