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Fiorello? Vi spiego perché Rai Play non decollerà. L’articolo di Rapetto

Sta per arrivare Fiorello sul multi schermo di Rai Play, ma per poterlo vedere bisogna superare non pochi inghippi... L'articolo di Umberto Rapetto

Sta per arrivare Fiorello sul multi schermo di Rai Play e la circostanza ha senza dubbio calamitato l’attenzione anche delle persone più distanti dal processo di evoluzione tecnologica.

Il pubblico con i capelli d’argento se non vuole perdere questa opportunità è costretto a migrare dallo strumento tradizionale della vecchia Tv ad un dispositivo digitale non sempre così friendly (“amichevole” sarebbe un termine così armonioso e comprensibile, ma per chi progetta interfacce non fa abbastanza figo…).

Dovrebbe essere una passeggiata, una banale sequenza di clic e altri passaggi. Ci hanno provato in tanti, animati dalla curiosità di assistere al ritorno dello straordinario mattatore (su cui l’emittente pubblica ha scommesso e non poco) e dal desiderio di cimentarsi in una impresa non agevole per chi è nato in altri tempi.

Purtroppo la sorte è crudele e chi sperava in una specie di tardivo battesimo hi-tech deve continuare a vivere… nel “peccato”, lontano dai moderni sacramenti rappresentati dalla fruizione multimediale di quanto le divinità dell’intrattenimento dispensano generosamente.

L’atmosfera è tutt’altro che epica, anche se un contorno di tragedia greca non manca.

Un mio conoscente mi ha voluto rendere partecipe della sua débacle, raccontandomi come – impersonando involontariamente un novello Ulisse nei tempestosi mari dell’Odissea – abbia dovuto affrontare mille cimenti senza riuscire nell’impresa della registrazione sul sito della Rai.

Incredulo alle accorate parole, ho provato ad affiancarlo telefonicamente in un ultimo disperato tentativo per raggiungere l’ambita meta. La circostanza è stata dolorosa, vuoi per il tempo che ho perso (ma la solidarietà umana è fatta anche di queste piccole cose), vuoi per quello che ho dovuto vedere con i miei occhi dinanzi ad un portale che immaginavo (o speravo inutilmente) fosse proporzionale alle aspettative.

Con santa pazienza (roba da beatificazione immediata come spesso qualcuno auspica per calciatori, politici e nuovi eroi dei giorni nostri) ho provato ad eseguire sul mio pc tutti le “stazioni” della Via Crucis che faticosamente avevano segnato il Calvario del mio non giovanissimo amico.

La rapidità del portale non mi ha certo sottoposto allo stress da accelerazione che si prova sul sedile di parecchie automobili sportive. Poteva essere colpa della mia connessione, della mia Adsl, del mio computer, ma sarebbe capitato anche con gli altri indirizzi web che invece mi hanno sempre “accolto” con estrema celerità. Poteva essere la “ressa” di troppi utenti che stavano cercando di connettersi tutti simultaneamente (o, forse, bloccati come il mio amico e me al varco di ingresso), ma mi è difficile credere che nessuno abbia considerato il volume dei potenziali “spettatori”.

Non mi dilungo in una sgradevole apposizione di segni rossi e (prevalentemente) blu per la correzione di errori, ma mi fermo alla registrazione online di chi mi ha chiesto soccorso e che, nonostante il mio inusitato sostegno, è naufragato miseramente.

Chi vuole accedere agli appetibili contenuti di Mamma Rai clicca sul tasto “accedi” e approda ad una finestra in cui deve inserire le proprie credenziali (se già ha superato lo scoglio dell’iscrizione) oppure deve incamminarsi nel defatigante iter di registrazione. In questo secondo caso può scegliere se inserire i propri dati (nome, cognome, casella di posta elettronica, data di nascita, sesso) oppure approfittare della scorciatoia consistente nel disporre di un account su un social network (nella fattispecie Facebook, Twitter o Instagram).

Optiamo per la registrazione “senza sconti”. Si inseriscono tutti i dati e si danno tutti i consensi, ma quando si arriva alla fine e si seleziona il pulsante “registrazione” ecco che tutto si blocca.

Sullo schermo appare l’impietosa scritta rossa “BIRTHDAY-NOTVALID” che indica che la data di nascita non è valida (non si capisce perché non lo si sia riportato in italiano e magari con una espressione commestibile).

Cerchiamo, invano, l’indicazione della sintassi da rispettare. Cominciamo a credere che sia un test per vedere la capacità intuitiva dello spettatore medio oppure che la buonanima di Nanni Loy abbia nascosto nel collegamento una sua telecamera virtuale nascosta.

Pensiamo subito di aver sbagliato i caratteri di separazione tra mese, giorno ed anno e a quel punto tentiamo ogni possibile combinazione. Ci proviamo con il trattini “-” e “_”, con un semplice spazio, con la barra di separazione “/” e “\”. Non contenti scriviamo la data con il mese in lettere (con e senza maiuscola iniziale) e proviamo persino i formati GGMMAAAA, GGMMAA, AAAAMMGG e persino MMGGAAAA come fanno oltreoceano.

Nulla. La data continua ad essere sbagliata.

Il mio amico inizia a credere che la sua data di nascita non sia valida, di essere venuto al mondo in un giorno sbagliato e mi chiede di provare con un’altra collocazione cronologica. Ridendo, lo ringiovanisco a più riprese e cerco anche date importanti… Niente da fare.

Suggerisco al mio amico di iscriversi a Twitter, così da evitare le forche caudine sotto le quali siamo già passati una dozzina di volte. Ok, vada per Twitter….

Si torna a RaiPlay e si ricomincia imboccando la strada dell’accesso tramite profilo social. La procedura sembra dare l’esito sperato ma dopo poco, con la complicità di un redivivo Franz Kafka, riappare sullo schermo la finestra in cui si chiede di inserire i propri dati personali. Data di nascita inclusa.

Mi prega di continuare e io non mi tiro indietro. Dopo un’ulteriore decina di tentativi inutili conveniamo che sia meglio ascoltare la radio….

Qualcuno mi dirà che dovevo esperire almeno un tentativo con lo smartphone.

No, decisamente no. E lo spiego.

Cosa vuoi che veda sul telefonino una persona che con gli anni ha perso la definizione dei dettagli anche nella vita reale? Se l’è posta qualcuno di RaiPlay questa domanda?

Quelli che parlano di cross-medialità e, magari, non sanno cucinare due uova al tegamino, dovrebbero provare il brivido di immedesimarsi in chi ha estrazione generazionale o culturale diversa (e non per questo da condannare all’esclusione sociale di matrice tecnologica).

Chi parla di “servizio pubblico” dovrebbe ricordare che non deve rimanere nessuno indietro e che è necessario fare opera di sensibilizzazione ed educazione ai nuovi mezzi di comunicazione. Quel che ho raccontato (non per sentito dire, ma per averlo saggiato personalmente e con un minimo di competenza informatica) è la dimostrazione che il maestro Manzi – sovente citato a sproposito da chi se ne sente il successivo frazionista in una immaginaria staffetta – non ha lasciato eredi.

Il pubblico della Rai è meno giovane di chi sceglie Netflix o altre offerte condensabili sul microscopico display di un apparato telefonico mobile. E’ gente che forse ha un computer e Internet, che ha bisogno di una tastiera, che inforca gli occhiali per leggere le scritte più piccole, che non attraversa la strada ipnotizzata dallo smartphone su cui fissa lo sguardo incurante dei veicoli che sopraggiungono. Gente che si aspetta qualcosa.

E quel qualcosa non è “BIRTHDAY-NOTVALID” in totale assenza di indicazioni per scongiurare il ripetersi di errori di digitazione.

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