Nella homepage di Time 2030, il magazine della prestigiosa rivista madre — che lo descrive come un progetto decennale che seguirà il nostro progresso verso un mondo sostenibile ed equo — si legge: “The next decade will likely determine whether the planet will remain fit for human habitation”, letteralmente “il prossimo decennio probabilmente determinerà se il pianeta resterà una dimora abitabile per l’Uomo”.
A margine della pagina un orologio scandisce il contdown in anni, mesi, giorni, ore, minuti e secondi che ci separano da questo programmato traguardo di verifica. Tutti gli studi, le ricerche, i dati, le riviste scientifiche e antropologiche a livello mondiale e le premonizioni delle più autorevoli istituzioni — inclusa l’ONU — convergono nel rimarcare come il pianeta e i suoi abitanti si trovino in una fase cruciale e decisiva per i destini del mondo: è in gioco la sostenibilità della vita, tra rischio di estinzione globale, cambiamenti climatici e urgente ricerca di nuovi equilibri nella sussistenza delle biodiversità. I passaggi cruciali di questo progetto, secondo Time 2030, si riassumono nei temi dell’innovazione, delle uguaglianze, della sostenibilità, dell’economia, delle giovani generazioni e infine delle leadership che auspicabilmente guideranno il percorso difficile ma necessario verso un ecosistema che comprenda uomo e ambiente.
I venti componenti del Comitato Time 2030 — esperti di vari Paesi del mondo — prendono in considerazione tutte le potenziali soluzioni e innovazioni che possono risolvere al meglio le maggiori sfide del decennio: tra esse l’implementazione della rete virtuale occupa un posto di rilievo soprattutto nel segno del Metaverso.
In un articolo su Time 2030 di luglio dal titolo “Il Metaverso rimodellerà le nostre vite. Assicuriamoci che sia per il meglio”, Matteo Ball, managing partner di Epyllion e di Makers Fund, prende in considerazione questo tema evidenziandone la crescita esponenziale nell’interesse dei detentori del management informatico: “La US Securities and Exchange Commission riferisce che nei primi sei mesi del 2022 la parola metaverse è apparsa nei documenti normativi più di 1.100 volte. L’anno precedente ha registrato 260 menzioni. I due decenni precedenti? Meno di una dozzina in totale”. Ciò mentre “sei delle più grandi società pubbliche del mondo — Amazon, Apple, Google, Microsoft, Nvidia, Tencent — si sono impegnate a prepararsi per il metaverso. Si stanno riorganizzando internamente, riscrivendo le descrizioni del lavoro, ricostruendo le offerte e preparando lanci di prodotti multimiliardari. A gennaio, Microsoft ha annunciato la più grande acquisizione nella storia della Big Tech, pagando 75 miliardi di dollari per il gigante dei giochi Activision Blizzard, che”fornirebbe i mattoni per il metaverso”. In totale, stima McKinsey & Company, che le società di private equity e i venture capitalist hanno realizzato investimenti per 120 miliardi di dollari nel metaverso durante i primi cinque mesi di quest’anno”. Che cosa si intenda per Metaverso che lo spiega lo stesso Ball: “Penso al metaverso come a un piano di esistenza virtuale parallelo che abbraccia tutte le tecnologie digitali e arriverà persino a controllare gran parte del mondo fisico”. Questo passaggio esplicativo lo rende potenzialmente utile anche in funzione risolutiva dei problemi del mondo reale.
“Internet come lo conosciamo oggi copre quasi tutti i paesi, 40.000 reti, milioni di applicazioni, oltre cento milioni di server, quasi 2 miliardi di siti Web e decine di miliardi di dispositivi. Ognuna di queste tecnologie può scambiarsi informazioni in modo coerente, trovarsi ‘in rete’, condividere sistemi e file di account online (un JPEG, un MP4, un paragrafo di testo) e persino interconnettersi”. Partiamo dal presupposto che già oggi quasi il 20% dell’economia mondiale è considerata “digitale”, con gran parte del restante 80% come sua applicazione, suo derivato o ad essa interconnessa. Quanto internet abbia modellato e condizionato la nostra vita lo verifichiamo quotidianamente, ad ogni latitudine.
La prossima evoluzione di questa tendenza sembra essere un mondo virtuale persistente e “vivente” — il Metaverso — che non è una finestra sulla nostra vita (come Instagram) né un luogo in cui la comunichiamo (come l’e-mail) ma in cui esistiamo anche noi, in una rappresentazione tridimensionale (da qui l’attenzione si concentra su visori, avatar VR-immersivi e la cd. “realtà aumentata”).
In realtà il termine metaverso fu usato per la prima volta da Neal Stephenson nel libro “Snow Crash” (1992), come coniugazione dei termini meta e universo e descritto dall’autore come una sorta di realtà virtuale condivisa tramite internet, dove si è rappresentati in 3D attraverso il proprio avatar.
La raffigurazione connotativa del metaverso è quindi complessa e certamente viviamo adesso in una intensa fase progettuale circa la sua declinazione in una molteplicità di applicazioni.
Mark Zuckerberg, nel corso della convention Facebook Connect 2021, aveva affermato di voler sostituire il termine Facebook con Meta, presentando Horizon Home e la piattaforma di realtà virtuale Oculus.
Ciò è stato poi realizzato riunificando le sue principali piattaforme social (Facebook, Instagram, WhatsApp) nel gruppo Meta. Microsoft e Apple stanno seguendo a ruota, per configurare nuovi paradigmi nei rapporti tra reale e virtuale. L’ambizione sottesa è quella di contendersi un mercato mondiale in cui l’uso massivo del digitale si realizza in una società aperta e il concetto di identità ingloba il reale e il virtuale: la persona e il suo avatar. Un nuovo modello di relazioni – dunque – basato sulla creazione di spazi dove ci si possa rappresentare per comunicare esperienze, conoscere, dialogare, costruire realtà in continua espansione, teoricamente aperto a tutti i fruitori del metaverso.
Un primo step di trasparenza riguarda appunto i concetti di fruizione e partecipazione, importante perché l’idea di metaverso si esplicita come mondo virtuale inclusivo. Ed è fin troppo consequenziale pensare alla sostenibilità dell’insieme rispetto alle realtà demografiche del pianeta ma anche al gap generazionale: il progetto estensivo del metaverso può trovare qui limitazioni di accesso a target potenziali di utenza non strutturati e questo è un problema di democrazia. In teoria per entrare in questa nuova dimensione esperienziale con un proprio account è sufficiente disporre di un computer connesso ad internet e di visori di realtà aumentata: secondo un’interessante disamina del Network ‘Digital 360’ del 23/6/2022 sono disponibili diverse piattaforme di accesso come Decentraland, Sandbox e Stageverse. Utilizzandole si entra nella community con il proprio avatar: il “consumatore” può fare esperienze di acquisto con le criptovalute, costruire oggetti e commercializzare prodotti virtuali, assistere a festival o concerti. Le potenzialità di fruizione sono teoricamente infinite ed interessante è considerare l’utilità delle interconnessioni tra virtuale e reale nei campi dell’economia, della formazione, del turismo, dell’entertainment, dello sport, degli spettacoli, dei trasporti, delle comunicazioni, nulla è escluso. Ne consegue una potenziale dimensione olistica dell’esperienza di immersione in un mondo virtuale che consente interazioni illimitate e flussi interconnettivi e operativi con il mondo reale.
Già conosciamo tuttavia certe derive di problematicità nell’utilizzo della rete: le fake news, l’utente che diventa consumatore compulsivo, i cyber reati dallo stalking al revenge porn, l’accesso senza protezione da parte dei minori, la pedopornografia, la violazione della privacy, gli attacchi hacker, la simulazione dell’identità, il falso accreditamento per fermarsi ad aspetti noti che alimentano la cronaca.
Viene da pensare certamente ai potenziali vantaggi che la creazione e la frequentazione di una community che interagisce in un mondo parallelo e declinabile nel reale possono favorire. Proprio in questi giorni — ad esempio — La Repubblica ha pubblicato un intervento di Antonio Cerasa, neuroscienziato e ricercatore dell’Istituto per la Ricerca e l’Innovazione Biomedica IRIB-CNR di Messina, sul tema delle applicazioni in campo sanitario — dall’autismo ai disturbi alimentari — derivanti da un appropriato utilizzo del metaverso: “La trasposizione in avatar può aiutare a superare i limiti motori legati a deficit neurologici”.
Allo stesso modo riesce agevole immaginare come il metaverso possa essere utilizzato come supporto e integrazione nei processi di apprendimento nel campo dell’istruzione. Si pensi ad una scolaresca interconnessa tramite visori di realtà aumentata, sotto la guida di un insegnante che accerti la credibilità delle fonti: i campi di esplorazione sarebbero potenzialmente illimitati e ci troveremmo di fronte ad una metodologia didattica di gran lunga più flessibile e ricca della sperimentata e incerta DaD.
Qualunque area dell’osservazione, della ricerca e delle interazioni relazionali si consideri, la frequentazione dell’ambiente virtuale del metaverso può facilitare e implementare la dimensione spazio-temporale della conoscenza. Tuttavia non ci si può esimere dal considerare gli aspetti etici correlati a questa attesa potenzialità espansiva. A cominciare dalla rassicurazione emotiva del navigatore virtuale di fronte ad un ambiente carico di incognite, per proseguire con una possibile dispersione cognitiva se non correttamente orientati, per ipotizzare ancora -non senza motivo- come la vastità dei campi di esplorazione richieda una selezione degli obiettivi che si intendono perseguire.
Di vero c’è che il metaverso funzionerà e sarà utile e credibile se favorirà i processi di riconversione dal mondo virtuale a quello reale: l’immedesimazione nel primo non deve precludere la consapevolezza che il contesto in cui viviamo impone dei limiti dove l’antropocene trova la sua giusta misura per esserci. La pratica e l’obiettivo della sostenibilità si realizzano entro stili di vita che non possiamo eludere per non alterare l’ambiente e le sue regole, pena l’insorgere di emergenze potenzialmente irreversibili.