L’Italia inasprisce la web tax eliminando le soglie sui ricavi per le imprese attive nel digitale.
Era il 2020 quando l’Italia ha introdotto la Digital Service Tax (Web tax), un prelievo del 3% sui ricavi delle transazioni via internet per le aziende digitali con un fatturato di almeno 750 milioni di euro, di cui almeno 5,5 milioni realizzati in Italia.
Adesso il testo della manovra elimina queste condizioni minime necessarie per l’applicazione dell’imposta.
Il governo ha deciso infatti di estendere l’obbligo di pagamento della Digital Services Tax a tutte le imprese che realizzano ricavi derivanti da servizi digitali nel territorio italiano, senza considerare più soglie di fatturato globale e locale.
Dall’allargamento della platea della web tax sono stimate maggiori entrate annue di 51,6 milioni di euro (di competenza e quindi con impatto sul deficit già nel 2025 ma con effetti finanziari per cassa dal 2026) rispetto all’attuale gettito di 400 milioni.
Immediate le reazioni delle imprese del settore: da Netcomm, consorzio che rappresenta oltre 480 aziende del digitale italiano, che mette in guardia dalle conseguenze di questa misura, alla Fieg che lamenta una doppia tassazione per gli editori.
LA PROTESTA DI NETCOMM
“Questa misura rappresenta un colpo di grazia sia per le imprese che operano nel settore dei servizi digitali, sia per quelle usufruiscono di questi servizi, specialmente quelle più piccole o che sono nelle fasi iniziali della loro crescita. La tassa rischia di ridurre il Pil e, a lungo termine, anche il gettito fiscale complessivo, dato che le imprese sarebbero costrette a rallentare le attività di investimento o delocalizzare. Questo crea un ciclo negativo in cui l’imposizione fiscale riduce la competitività delle imprese, rallentando lo sviluppo economico nazionale”, ha dichiarato il presidente di Netcomm Roberto Liscia.
L’estensione della web tax, secondo Netcomm, potrebbe innescare un effetto a cascata lungo la catena del valore digitale. Il fatto di tassare i ricavi lordi anziché i profitti porta a conseguenze dirette sull’intero ecosistema digitale. Le imprese che forniscono servizi digitali, come la pubblicità online, la gestione di piattaforme e-commerce o l’hosting di dati, aumenteranno i loro prezzi per compensare i nuovi costi fiscali. Questo aumento avrà effetti indiretti anche sulle aziende non digitali di natura, ma che usufruiscono di questo genere di servizi, aumentando il costo complessivo delle operazioni digitali.
LE CONSEGUENZE SULL’INNOVAZIONE DALL’INASPRIMENTO DELLA WEB TAX
Inoltre. per le PMI italiane, che dipendono in larga misura da servizi esterni per la gestione delle loro attività digitali, questo comporta un aumento dei costi operativi, riducendo così la loro competitività sia sul mercato interno che internazionale. La pressione fiscale ulteriore non solo scoraggerà gli investimenti in innovazione, ma avrà un effetto a catena sull’intero ecosistema digitale.
L’ALLARME DELLA FIEG
“Stupore e amarezza” anche da parte della Federazione italiana editori giornali (Fieg), per la norma del disegno di legge di Bilancio che estende l’imposta sui servizi digitali a tutte le imprese che realizzano ricavi derivanti da servizi digitali”.
“La web-tax è stata concepita per i grandi operatori del web, anche per eliminare la disparità di trattamento e lo svantaggio competitivo delle imprese nazionali nei confronti dei soggetti globali operanti nel web – spiega l’associazione degli editori in una nota – Con l’estensione della platea dei contribuenti l’epilogo della web-tax è paradossale: si colpiscono tutte le imprese digitali italiane, sottoponendole ad una duplice tassazione e accentuando così la disparità di trattamento e lo svantaggio competitivo nei confronti dei colossi globali del web”.
“Gli editori della Fieg auspicano un intervento correttivo del Parlamento che eviti la beffa di una nuova tassazione sulle imprese italiane del settore, le stesse imprese che si intendeva tutelare e salvaguardare”, conclude la nota.