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Italia 5g Cina

Ecco affari e investimenti in Italia di Zte e Huawei (con una passione per la Sardegna)

L'approfondimento di Patrizia Licata

In Italia fatturano complessivamente quasi 2 miliardi di euro, ma Huawei e Zte, i fornitori cinesi di attrezzature Tlc finiti nell’occhio del ciclone per “questioni di cybersecurity”, sono molto più che un partner tecnologico nel nostro paese: sono un fondamentale investitore. In Italia Huawei e Zte hanno aperto centri di ricerca e partecipano a progetti legati al 5G che legano a doppio filo lo sviluppo digitale italiano con capitali e tecnologie Made in China.

CHI LAVORA CON HUAWEI IN ITALIA

Da Leonardo (ex Finmeccanica) a Poste Italiane, da Tim a Fastweb, sono numerose le aziende, gli enti e le istituzioni in Italia che utilizzano tecnologia, apparecchi e router del colosso cinese (qui tutti i nomi nell’approfondimento di Start Magazine).

Il fornitore cinese di attrezzature Tlc è attivo anche sulle sperimentazioni del 5G che si stanno compiendo in Italia sotto la guida del ministero dello Sviluppo economico; in particolare (come riporta Il Sole 24 Ore), in quella a Bari e Matera con Tim e Fastweb, Huawei è capofila del progetto, mentre nel test di Milano con Vodafone Huawei è fornitore insieme a Nokia. Huawei ha inoltre un centro ricerche a Segrate sul microwave e tre innovation center con Tim e due con Vodafone. In Italia fattura 1,5 miliardi di euro; nel modo 100 miliardi di dollari.

UN SUPERCOMPUTER HUAWEI IN SARDEGNA

In Sardegna Huawei ha un centro di innovazione insieme a Crs4, il centro di ricerca della Regione, il Joint innovation center di Pula, frutto di un accordo firmato tre anni fa dalla Regione Sardegna e dalla società cinese. Nel centro è stato messo a punto Ioc (Intelligence operation center), un supercomputer dalle molteplici applicazioni (gestione del traffico in tempo reale, sicurezza dei luoghi affollati, controllo della raccolta dei rifiuti, ecc.) che rientrano nel programma di ricerca Smart and Safe city. I risultati delle prime implementazioni sono stati presentati a inizio mese a Cagliari, alla presenza del governatore sardo, Francesco Pigliaru, il vice Raffaele Paci, il sindaco metropolitano Massimo Zedda, e il presidente di Huawei Italia, Luigi De Vecchis.

GLI INCONTRI DI RENZI

Il primo accordo con Huawei è stato siglato da Pigliaru ad Hannover nel 2015; il Joint innovation center di Pula è stato inaugurato a dicembre 2016 e ha comportato un investimento di 20 milioni da parte del colosso cinese; il supercervellone Ioc è il primo risultato di quell’investimento, cofinanziato dalla Regione con 3 milioni. Per ribadire la collaborazione tra Cina e Italia sull’innovazione l’allora primo ministro Matteo Renzi si era incontrato in via informale in Sardegna col presidente cinese Xi Jinping nel novembre del 2016.

TUTTI GLI INVESTIMENTI DI ZTE

Zte è la rivale più piccola di Huawei. Fatturato globale di 14 miliardi nel 2017; l’Italia pesa per circa 170 milioni di euro. Il nostro paese è -lo ha dichiarato Zte stessa – il pilastro della sua strategia europea: la società, guidata in Italia dal ceo Hu Kun, si è impegnata l’anno scorso a investire 500 milioni di euro in cinque anni (che si aggiungono ai 100 milioni già spesi); ha insediato a Milano l’hub continentale, ha creato a fine 2017 la nuova filiale Zte Service Italy – focalizzata sulle infrastrutture Ict e sull’Internet of Things – e ha aperto a L’Aquila il Centro di innovazione e ricerca sul 5G. La struttura abruzzese è fulcro della ricerca europea sul 5G su Zte e chiama a raccolta  scienziati italiani e cinesi, università, imprese, startup e operatori di Tlc.

Zte in Italia già collabora con Wind Tre, Tim, Open Fiber, Linkem e altri. Nei giorni scorsi ha ricevuto il premio Top investor in Italy nell’ambito dei China Awards 2018, i riconoscimenti che la Fondazione Italia Cina assegna ogni anno alle realtà cinesi e italiane impegnate nella cooperazione e nelle relazioni bilaterali.

GEOPOLITICA E SICUREZZA

I guai per Huawei e Zte, con le accuse di favorire il cyberspionaggio di Pechino tramite le loro attrezzature di rete, sono cominciati negli Stati Uniti, dove il presidente Donald Trump ha trasformato in ostracismo una diffidenza che già esisteva in era Obama. Dopo il blocco imposto a Zte a inizio anno, poi tramutato in multa, l’amministrazione Usa ha vietato alle due aziende cinesi l’accesso ai contratti per il 5G.

L’Australia, il Giappone e il Regno Unito si sono mossi per fare altrettanto, mentre la reazione dell’Europa è per ora a due facce: mentre il commissario al digitale Andrus Ansip si è detto preoccupato dal rischio spionaggio, il ministro dell’economia francese Bruno Le Maire ha chiarito che gli investimenti cinesi sono sempre graditi, pur con i necessari limiti e controlli.

E’ più o meno la posizione italiana: il presidente del Copasir Adolfo Urso intervistato dal Sole 24 Ore Radiocor ha detto che non è in corso alcun accertamento sul caso Huawei (in seguito all’arresto in Canada per ordine degli Usa di Meng Wanzhou, cfo di Huawei e figlia del fondatore), ma che sarebbe bene attivare “una commissione d’inchiesta parlamentare sulle azioni di paesi ed aziende straniere in Italia”, anche per valutare le questioni di sicurezza e controllo delle reti strategiche.

GLI IMPATTI

Per alcuni esperti il nodo cybersicurezza con i fornitori cinesi è reale (notizie e approfondimenti in questo articolo di Start Magazine); per altri, la questione della security nasconde una guerra commerciale e una lotta sul primato nel 5G (qui un report di Eurasia Group).

Le aziende cinesi si dicono da sempre rispettose delle regole e deluse dalle valutazioni dei governi occidentali che ritengono spinte da motivazioni politiche. Tuttavia in Italia Wind Tre – che è al 100% cinese – ha dovuto rimettere in gioco parte della commessa sulle attrezzature Tlc a favore della rivale europea Ericsson.

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