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Durov è responsabile o no dei contenuti su Telegram? Girotondo di giuristi

Il cofondatore di Telegram, Pavel Durov, ora in libertà condizionale dietro una cauzione di 5 milioni di euro, è responsabile o no dei contenuti che circolano sulla sua piattaforma? Ecco cosa ne pensano alcuni esperti di diritto.

Chiarito che per la maggior parte degli esperti quella della Francia a Pavel Durov, cofondatore di Telegram, non è stata un’imboscata ma un’operazione ben coordinata resta ora da capire che cosa farà Parigi di tutte quelle preziosissime informazioni contenute nella piattaforma e soprattutto di cosa può o non può essere accusato il suo inventore.

A Durov infatti, in attesa del processo, è stata concessa la libertà condizionale dietro una cauzione di 5 milioni di euro, a patto che non lasci la Francia e si presenti in una stazione di polizia due volte a settimana.

DI COSA È ACCUSATO DUROV

Il 26 agosto, due giorni dopo l’arresto di Durov, il tribunale di Parigi ha rilasciato un comunicato stampa in cui spiegava che l’imprenditore era stato preso in custodia “nell’ambito di un’indagine giudiziaria avviata l’8 luglio 2024, a seguito di un’inchiesta preliminare d’iniziativa della sezione J3 (lotta alla criminalità informatica – JUNALCO) della Procura di Parigi”.

L’indagine, prosegue la nota, “è stata aperta contro una persona non ancora identificata” e prevede 12 capi di accusa.

Il 28 agosto, in un altro comunicato diffuso su X dal deputato Éric Bothorel, i capi d’accusa – questa volta diretti a Durov – riguardano la mancata collaborazione a seguito delle richieste ufficiali delle autorità competenti impegnate nelle indagini, la complicità nell’amministrare la piattaforma consentendo operazioni illecite da parte di un gruppo organizzato, nonché la complicità nei reati commessi da questi gruppi (diffusione di materiale pedopornografico, traffico di stupefacenti, frode organizzata da bande criminali, associazione a delinquere finalizzata a commettere delitti).

A questi si aggiungono le accuse di aver fornito “servizi di crittografia volti a garantire funzioni di riservatezza senza apposita dichiarazione” e la “fornitura e importazione di un mezzo di crittografia che non garantisca esclusivamente funzioni di autenticazione o controllo dell’integrità senza previa dichiarazione”.

Il legale di Durov ha ovviamente respinto le accuse e dichiarato che è “totalmente assurdo” suggerire che il capo di un social network sia responsabile di qualsiasi atto criminale commesso sulla piattaforma.

LA REPLICA DI DUROV

Il 6 settembre, per la prima volta dall’arresto, si è pronunciato sulla sua piattaforma anche Durov, affermando che le autorità francesi, invece di trattenerlo, avrebbero dovuto e potuto contattare il rappresentante di Telegram nell’Ue in qualsiasi momento attraverso una “linea diretta” che lui stesso aveva contribuito a creare. Ha inoltre negato che l’app, seppur imperfetta, sia un “paradiso anarchico”.

“Se un Paese non è soddisfatto di un servizio Internet, la prassi consolidata è quella di avviare un’azione legale contro il servizio stesso. Utilizzare leggi dell’era pre-smartphone per accusare un amministratore delegato di crimini commessi da terzi sulla piattaforma che gestisce è un approccio sbagliato”, ha scritto.

IL DILEMMA TELEGRAM

E qui infatti, tralasciando i vari dibattiti sulla libertà di parola (che poco ha a che fare con questo caso), sta il cuore della questione. Come scriveva su Repubblica, subito dopo l’arresto di Durov, Andrea Monti, giurista esperto di High Tech Law, il problema si riassume in una domanda: “Quando un prodotto/servizio viene progettato con determinate caratteristiche, e queste caratteristiche consentono di commettere o impedire l’accertamento di un reato, chi le ha decise è corresponsabile degli illeciti penali che sono commessi tramite questi prodotti/servizi?”.

ANDREA MONTI: REGOLE UGUALI PER TUTTI

Per Monti, se si abbandona l’ipocrisia, il dilemma è chiaro: “Se è consentito mettere in circolazione ciò che ostacola il controllo da parte dello Stato, allora bisogna accettare l’esistenza di servizi di anonimizzazione totale, di sistemi progettati per essere impenetrabili ai tentativi di accesso non autorizzato a prescindere da chi (delinquenti o forze di polizia) li voglia commettere, e il diritto di non cooperare con l’autorità giudiziaria”.

“Oppure – prosegue Monti – tutto questo è vietato, e dunque punito, e di conseguenza bisogna accettare cose come backdoor hardware e software, crittografia indebolita, VPN gestite in modo da consentire l’acquisizione del traffico in chiaro, abolizione di password e altri sistemi di autenticazione, obbligo di cooperazione generalizzato e via discorrendo. Nel primo caso, dunque, nessuno dovrebbe essere sanzionato, ma nel secondo tutti (tutti, nessuno escluso) dovrebbero essere puniti”.

GIUSEPPE VACIAGO: LA COMPLICITÀ DI DUROV

L’avvocato Giuseppe Vaciago, esperto in diritto penale societario e delle nuove tecnologie, intervistato dal professor Matteo Flora, docente in Fondamenti di sicurezza delle AI e delle superIntelligenze presso la European School of Economics, ha commentato la questione prima che il Tribunale di Parigi rilasciasse il secondo comunicato e facendo dunque riferimento agli iniziali 12 capi d’accusa.

“Il tema della complicità, ‘concorso’ in italiano, – precisa l’esperto – riguarda più l’utilizzatore di Telegram che il gestore della piattaforma, però è chiaro che non è da escludere questo tipo di estensione a condizione che si dimostri la chiara e volontaria strategia di non collaborazione con l’autorità giudiziaria quando ci si trova di fronte a reati gravissimi come la pedofilia, il traffico di stupefacenti, che nulla hanno a che vedere con la libertà d’espressione”.

DAL CHECCO E MAFFÈ : MANCANZA DI COLLABORAZIONE DA PARTE DI TELEGRAM

Paolo Dal Checco, dottore di ricerca d’informatica all’Università di Torino, dove si occupa di sicurezza e privacy delle comunicazioni ed è anche consulente tecnico di parte e d’ufficio in processi penali e civili, ha invece rimarcato la totale assenza di collaborazione da parte di Telegram: “Nelle indagini alle quali ho partecipato, ad esempio su pedopornografia, vendita di armi o droga, Telegram non ha mai fornito nulla, non ha mai risposto a magistrati e inquirenti”, ha dichiarato al Fatto Quotidiano.

Anche Carlo Alberto Carnevale Maffè, professore di Strategia alla Scuola di direzione aziendale Bocconi School of Management, ha chiarito a Zapping di Radio1 che le accuse a Durov “includono un tema che, per fare un paragone, in Europa, in Italia negli operatori telefoni potrebbe essere quello di non essere stati solerti nel rendere accessibili per esempio gli sms. In Europa, da sempre, gli operatori telefonici sono soggetti ai decreti della magistratura che se impongono di aprire i famosi tabulati telefonici o di leggere gli sms gli operatori sono obbligati a renderli disponibili. Le piattaforme che operano su base internazionale non hanno questo obbligo e quindi si apre un tema che afferisce alla questione delle garanzie costituzionali e, semmai, a tematiche di sicurezza nazionale”.

WALTER QUATTROCIOCCHI: UNA QUADRA ANCORA DA TROVARE

Per Walter Quattrociocchi, responsabile del Center of Data Science dell’Università La Sapienza, intervistato per Startmag, la questione è molto complicata e impone di fare un salto indietro per contestualizzarla: “Questa è l’ultima mossa di una partita che si gioca sul piano governativo da diversi anni e riguarda il controllo sulle piattaforme e la responsabilità dei contenuti relativi alle piattaforme. Un po’ in piccolo questa vicenda è quella che abbiamo visto in passato per quanto riguardava la circolazione di fake news su piattaforme più social come Instagram, Facebook e Twitter, adesso X”.

“Il punto – afferma l’esperto – è che non si è mai trovata effettivamente una quadra in questo contesto perché di fatto resta molto difficile attribuire una responsabilità editoriale dei contenuti per quel che concerne i proprietari delle piattaforme che si pongono come soltanto i proprietari dell’infrastruttura su cui avviene la dinamica. Il resto sono e lo fanno gli utenti”.

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