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Dribblare il controllo digitale dei genitori? Un gioco da ragazzi, anzi da bambini. L’articolo di Rapetto

L'articolo di Umberto Rapetto

C’è ancora chi si ostina a pensare di tenere a freno i più piccoli, azzoppando (o tentando di farlo) la loro esuberanza tecnologica con filtri o altri meccanismi inibitori già esistenti su smartphone e tablet oppure installati ad hoc dopo lunga e penosa ricerca del più efficace rimedio.

Si arriverà troppo tardi a capire che l’unica strategia è costituita dall’educazione e dall’esempio, metodi sicuramente più onerosi dei software di controllo che con pochi spiccioli si possono reperire sul mercato.

Se alla scarsa competenza di genitori ed educatori dinanzi ai futuribili dispositivi ormai alla portata di tutti si somma una scarsa volontà di impegnarsi personalmente a risolvere problemi di questo tipo, il duello adulti-minori rimane confinato al ricorso a strumenti elettronici volti a incatenare l’eccessiva vivacità dei giovanissimi alle prese con la Rete e arnesi di comunicazione.

Dopo oltre un quarto di secolo ad occuparmi di indagini digitali e soprattutto la pubblicazione con Vincenzo Merola nel 1996 di un visionario manuale intitolato “Genitori, occhio a Internet” (che fece sorridere chi non immaginava quel che sarebbe successo), ho acquisito l’abitudine quasi molesta di rovistare sul web per trovare spunti di approfondimento nel contesto della tutela dei più piccoli alle prese con le mutevoli opportunità hi-tech.

Questo girovagare nei meandri del tessuto connettivo telematico mi ha permesso di apprezzare il lavoro di Chris McKenna. Non parlo dello sceneggiatore di Spiderman o Jumanji o Ant-man, e nemmeno dell’omonimo attore televisivo apparso in Dr.House, Castle e in tante altre serie. Mi riferisco a quel Chris McKenna che ha fondato “Protect Young Eyes”, una organizzazione davvero mirata a proteggere lo sguardo dei più giovani che rischi di essere troppo facilmente abbagliato da contenuti non adatti e addirittura dannosi.

Recentemente McKenna – attento osservatore di comportamenti e tendenze – ha voluto esaminare la reale impermeabilità di un programma di controllo parentale che Apple ha incluso nel suo sistema operativo iOS 12 e chiamato “Screen Time”.

In parole povere l’azienda guidata ora da Tim Cook, interpretando la legittima apprensione di mamme e papà di ogni angolo del mondo, ha congegnato “Screen Time”. Si tratta di una sorta di serratura virtuale che – comandata da un orologio – permette di escludere l’utilizzo di certe funzioni dello smartphone in orari stabiliti dal genitore. In questo modo, oltre alla eliminazione della possibilità di accedere a siti web “non consigliati” anche grazie ad altri meccanismi, è possibile impedire la fruizione di video che emittenti “normali” erogano fuori dalla cosiddetta “fascia protetta”.

Il cosiddetto “Downtime” isola certe operazioni del telefonino per un ben determinato intervallo orario e la soluzione si è inizialmente profilata come una trovata a dir poco straordinaria. Peccato non si siano fatti i conti con l’ingegno dell’infanzia più birichina.

I ragazzini più turbolenti non si sono certo persi d’animo dinanzi a questo sistema di blocco. Conoscendo le dinamiche che regolano le “lancette” dei sistemi informatici di qualunque tipo e dimensione, i pestiferi nativi digitali hanno ricordato che si poteva agire sulle impostazioni di base del dispositivo. Mentre l’orologio che abbiamo al polso (fatte le debite eccezioni) si regola piazzando le lancette nella posizione corrispondente all’orario del momento, su computer, laptop, tablet e smartphone questa operazione di “settaggio” prevede anche la scelta del fuso orario.

Lo Screen Time congegnato da Apple non impedisce di agire su quella impostazione e quindi la variazione della “zona” geografica da prendere a riferimento è agevolmente praticabile dal bambino “sotto controllo”. Una volta immaginariamente trasportato il telefono in un’area “sei ore indietro”, ogni blocco va a farsi benedire perché entra in azione sì nell’orario stabilito, ma quando quell’ora scatta ben distante da dove si trova il bimbo….

Chris McKenna suggerisce in proposito di acchiappare il telefonino del minore, disattivare temporaneamente “Screen Time” e di correre subito ai ripari, andando ad attivare le restrizioni sulle possibilità di modificare “data e ora” e o l’ipotetica localizzazione del dispositivo. Una volta piazzato questa sorta di invisibile “lucchetto” ad orologio e calendario, è necessario riattivare “Screen time” per rendere operative le impostazioni appena “irrobustite”.

Fermiamoci qui, riservandoci di tornare sull’argomento.

Dopo questo minuscolo assaggio (i ragazzini se ne inventano ogni giorno di nuove per “fregare” i grandi) si torni a riflettere sul “parlarne insieme”, sul “far capire”.

Se non si educa, la contaminazione positiva non riuscirà mai a scatenarsi. E ogni giorno un nuovo escamotage permetterà ai più piccini – su questo o quel tipo di telefonino – di combinare qualcosa che un domani potrà rivelarsi fastidioso più del previsto.

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