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Che cosa prepara Xi in Cina per Alibaba, Tencent e non solo

La Cina di Xi Jinping sta cambiando il modello di sviluppo? L'articolo di Tino Oldani

 

A metà giugno, rivela una bella inchiesta di Bloomberg, il presidente Xi Jinping si è recato a Xining, una città remota della Cina, per visitare una scuola elementare. Nel doposcuola si è intrattenuto con studenti e genitori, i quali si sono lamentati per i costi elevati dell’istruzione privata, alquanto diffusa in Cina per il desiderio delle famiglie di garantire ai figli la migliore istruzione possibile, a partire dalle elementari. Nel prenderne nota, Xi ha annunciato cambiamenti: «Non dobbiamo avere tutori fuori dalla scuola che fanno le cose al posto degli insegnanti. Il Dipartimento dell’istruzione provvederà a correggere la situazione». Una promessa a cui, nel giro di un paio di settimane, sono seguiti cambiamenti radicali.

A metà luglio, il ministero dell’Istruzione ha diramato un nuovo regolamento per l’istruzione privata, stabilendo che le aziende del settore non possono più finanziarsi all’estero, quotandosi sulle maggiori Borse mondiali. Non solo: in alcuni casi, dovendosi trasformare in aziende no-profit, queste aziende non potranno finanziarsi del tutto. Risultato: le tre maggiori aziende cinesi del settore, Tal Education, New Orient e Gaotu, società miliardarie quotate da anni a New York, in portafoglio a numerosi investitori esteri, hanno registrato un tracollo borsistico, che Bloomberg ha stimato vicino ai 150 miliardi di dollari.

Come sia stato possibile che, in un paese comunista, si siano tanto arricchite delle società impegnate nell’istruzione privata è certamente un paradosso. Ma la causa è molto semplice: fin dalle elementari, il sistema scolastico cinese è molto competitivo, e lo diventa sempre di più nelle classi superiori, il cui diploma non basta per accedere all’università. Per poterci entrare, ogni anno dieci milioni di studenti devono affrontare un esame a livello nazionale, il Gaokao, occasione chiave per un futuro migliore: la severità è tale per cui il 20-30% non riesce a superarlo ed è costretto ad aspettare un anno per partecipare al successivo, ricorrendo a lezioni private molto costose per le famiglie della classe media.

Benché sia passata quasi inosservata dai media mainstream, questa bastonata di Xi alle grandi società dell’istruzione privata è considerata dai più attenti osservatori come l’inizio di un graduale cambiamento del modello di sviluppo della Cina. Per Liao Ming, fondatore di Prospect Avenue Capital con sede a Pechino (gestisce 500 milioni di dollari), intervistato da Bloomberg, «è lo spartiacque che segna il cambiamento nelle priorità politiche della Cina». Di fronte alle lamentele della classe popolare e media, l’attenzione ora è concentrata su quelle che sono state definite «le tre grandi montagne: l’onere schiacciante dei pagamenti per l’istruzione privata, l’assistenza sanitaria e la proprietà». Anche per questo, con un filo di ironia, il sottotitolo di Bloomberg recita: «Dopo 40 anni in cui hanno consentito al mercato di giocare un ruolo sempre maggiore nello sviluppo economico, i leader della Cina si sono ricordati una cosa importante: sono comunisti».

Altri analisti, pur concordando sul cambio di modello di sviluppo in atto, ne hanno intravisto i primi annunci in alcuni interventi precedenti di Xi Jinping. Nel dicembre scorso, durante una riunione di governo, disse che una delle nuove priorità era evitare «l’espansione disordinata del capitale», di fatto l’annuncio della messa sotto controllo delle maggiori società, in testa le Big-Tech. Il primo luglio, nel fluviale discorso per celebrare i cento anni del Pc cinese, Xi ha aggiunto che l’obiettivo della Cina è «la prosperità condivisa». Concetto reso più chiaro a metà agosto, quando in un discorso riportato dall’agenzia di stampa ufficiale Xinhua, ha spiegato che per raggiungere «la prosperità condivisa» sarà necessario «regolamentare i redditi eccezionalmente alti e incoraggiare i gruppi ad alto reddito e le imprese a restituire di più alla società».

Di fatto, l’annuncio di una maggiore pressione fiscale sui colossi tecnologici e finanziari, Big-Tech in testa, cresciuti negli ultimi 40 anni grazie alla svolta storica decisa da Deng Xiaoping alla fine degli anni Settanta, quando aprì la Cina ai mercati. Pur di agevolare lo sviluppo economico, Deng non esitò a dire che sarebbe stato accettabile se alcune persone fossero «diventate ricche per prime», in barba ai principi di eguaglianza del comunismo cinese imposti da Mao Zedong. Una svolta che, piaccia o meno, ha consentito alla Cina di avere oggi un numero di miliardari superiore a quello degli Stati Uniti: 1.058 secondo il Wall Street Journal, il 52% più di quelli Usa.

Fine della cuccagna per i miliardari cinesi? Difficile dire se lo sarà per tutti. Di certo, i più colpiti saranno, nei prossimi anni, i capi dei colossi Big-Tech, alcuni dei quali già pesantemente richiamati all’ordine, come Jack Ma (Alibaba). Sotto botta, attualmente, sono altri colossi. Come Meituan (e-commerce e consegne a domicilio), indagata per abuso di posizione dominante, che ha perso 30 miliardi di dollari di valore. Altri 400 miliardi li ha persi Tencent, con Alibaba la principale azienda tecnologica del paese, sottoposta ad alcune restrizioni, compreso il blocco delle iscrizioni a WeChat, la più diffusa app cinese. E 29 miliardi li ha persi Didi (servizi automobilistici con autista), che si era quotata a Wall Street contro il parere delle autorità cinesi. Infine, il governo ha aperto indagini su altri settori, come le criptovalute, l’e-commerce, la sanità privata, il mercato immobiliare, fino alle industrie dei cosmetici e degli alcolici.

Articolo pubblicato su ItaliaOggi

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