Activision Blizzard, fresca di acquisizione da parte di Microsoft per un controvalore di circa 70 miliardi, pagherà 54 milioni di dollari per risolvere una causa per discriminazione intentata nel 2021.
L’ACCORDO COL DIPARTIMENTO PER I DIRITTI CIVILI
Il colosso di Santa Monica ha raggiunto un accordo con il Dipartimento per i Diritti Civili della California che la obbliga a versare 45,75 milioni dei 54 totali a un fondo per il risarcimento delle dipendenti discriminate. Il resto andrà a favore di no profit a tutela dei diritti umani.
La causa, che aveva agitato di recente l’italiano Fondo Cometa, investitore di Microsoft (che ha pure ricordato come “Activision Blizzard è stata inoltre accusata di ostacolare la sindacalizzazione dei dipendenti”) era stata intentata dal California Department of Fair Employment and Housing, al termine di due anni di indagini che avrebbero dimostrato l’esistenza di una pluralità di condotte ( molestie sessuali, salari più bassi, ritorsioni e meno possibilità di carriera per le donne) tali da rendere l’ambiente di lavoro negli studi in cui si sviluppano alcune delle serie più giocate al mondo (Call of Duty, World of Warcraft e Diablo) particolarmente tossico per le dipendenti della multinazionale statunitense.
LA SCARSA CURA PER I DIRITTI DELLE DONNE DI ACTIVISION
Stando al materiale raccolto dall’accusa, diversi colleghi avrebbero abbondato con battute di natura sessuale, non lesinando riferimenti a stupri o ad altre forme di violenza verso le donne. Sarebbe inoltre capitato in più occasioni che diversi sviluppatori trascorressero la giornata davanti ai videogiochi, non per lavoro ma per svago, facendo ricadere le consegne sulle colleghe. Allo stesso modo, le lavoratrici avevano anche denunciato molestie, sempre sul luogo e nell’orario di lavoro, da colleghi in evidente stato di ubriachezza.
IL SUICIDIO DI UNA DIPENDENTE
Ma c’è di più: questi atteggiamenti non solo non sarebbero stati ostacolati da chi, più alto in grado, ne aveva il potere, ma sarebbero stati alimentati dal generale e persistente clima discriminatorio aziendale.
Le lavoratrici avevano lamentato il fatto di non poter disporre delle stesse opportunità di carriera concesse invece ai loro colleghi, denunciando persino ritorsioni per chi prendeva congedi parentali. In alcuni casi, dopo aver subito pesanti critiche per le assenze dal lavoro motivate dalla cura dei figli, diverse dipendenti non sarebbero state ammesse alle riunioni della compagnia.