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Digital Tax

Come si muoverà Draghi sulla Web tax

Draghi ha tracciato road map sulla web tax: una soluzione globale entro metà 2021 in collaborazione con l'Amministrazione Usa

 

Il 2021 sarà l’anno della web tax. Parola di Draghi.

“Riteniamo che il Consiglio europeo debba procedere verso una soluzione globale e consensuale sulla tassazione digitale internazionale entro metà 2021 nell’ambito dell’Ocse, credo sia un apporto possibile grazie alla collaborazione con la nuova Amministrazione Usa”, ha detto il presidente del Consiglio, Mario Draghi, nelle comunicazioni al Senato sul Consiglio europeo di domani.

“Si vede una certa quale apertura, disponibilità, dalla Amministrazione di un Paese che in passato aveva dimostrato completa chiusura sulla possibilità di avere una tassa digitale. La presidenza italiana del G20 è una occasione particolarmente adatta per farlo”, ha evidenziato Draghi.

Sulla web tax si lavora ad accordo entro giugno, aveva annunciato già il ministro dell’Economia, Daniele Franco, al termine del G20 dei ministri delle Finanze e governatori il mese scorso.

L’incontro è stato il primo da quando Joe Biden è presidente degli Stati Uniti e sembra che siano stati compiuti progressi significativi sulla questione della tassazione delle big tech. In particolare i colossi tecnologici come Google, Amazon e Facebook.

Biden si è impegnato a ricostruire la cooperazione Usa negli organismi internazionali dopo che l’estate scorsa gli Stati Uniti avevano annunciato, attraverso una lettera dell’allora Segretario al Tesoro Steven Mnuchin ai colleghi europei, di voler sospendere temporaneamente i lavori sulla “Global Digital Tax”.

Tutti i dettagli.

LA ROADMAP TRACCIATA DA DRAGHI SULLA WEB TAX

Nel suo discorso al Senato Draghi ha sottolineato inoltre la “enorme opportunità” offerta all’Italia dal programma Next Generation Eu. E, riferendosi alla tassazione digitale, ha evidenziato che “lo sviluppo di questi nuovi settori non può prescindere da un’equa distribuzione dei loro proventi”.

Pertanto il presidente del Consiglio si è mostrato fiducioso in una soluzione globale sulla web tax entro metà 2021 in collaborazione con l’Amministrazione Usa.

IL G20 A LAVORO IN SEDE OCSE

L’obiettivo di una soluzione condivisa sulla web tax entro l’estate 2021 si era già stabilito nel corso del G20.

La riforma del sistema di tassazione internazionale “è diventato un compito urgente” dato il ruolo preminente assunto dai servizi digitali. Il G20 “porterà avanti il lavoro per trovare un consenso globale” e per arrivare entro metà 2021 a un accordo sulla tassazione minima delle imprese multinazionali e dei giganti del web. Lo aveva dichiarato il ministro dell’Economia, Daniele Franco, nella conferenza stampa al termine del G20 dei ministri delle finanze e governatori.

L’APERTURA DEGLI STATI UNITI

In quell’occasione Reuters ha riportato che la segretaria al Tesoro Usa Janet Yellen ha riferito ai suoi colleghi del G20 che gli Usa non sostengono più la clausola del ‘safe harbor’ (porto sicuro) nei negoziati in sede Osce per la tassa digitale.

La clausola, proposta dal suo predecessore Steve Mnuchin, prevedeva una sorta di opzionalità della tassazione, permettendo ai colossi digitali americani di non sottoporsi alla nuova tassa. Una mossa che aveva portato ad uno stallo delle trattative.

LO STALLO DEI NEGOZIATI MULTILATERALI

Lo scorso ottobre infatti, l’Ocse ha riconosciuto che nel 2020 non avrebbe raggiunto un accordo su un nuovo standard globale per la tassazione delle imprese digitali come sperato, soprattutto a causa dell’opposizione degli Stati Uniti alle proposte avanzate.

GLI STATI EUROPEI E LA WEB TAX

“Le conseguenze di un mancato riavvio dei negoziati politici potrebbero spingere a un’accelerazione di soluzioni multiple e frammentate” aveva sottolineato Samuele Dominioni in un approfondimento dell’Ispi.

A fine 2020 anche Bruxelles è tornata a far pressione sulla tassazione globale ai colossi tecnologici dando un ultimatum all’Ocse. Una soluzione deve arrivare entro giugno o l’Europa farà da sola. Come ha precisato il commissario all’economia Paolo Gentiloni ribadendo a scadenza di giugno 2021 per giungere ad un accordo sulla riforma fiscale internazionale dell’Ocse.

“Ad ogni modo, il commissario Gentiloni” ha evidenziato l’Ispi, “pur auspicando un accordo internazionale, ha anche sottolineato che una soluzione europea sarebbe più ragionevole per ovviare all’attuale frammentazione di diverse imposte sui servizi digitali che stanno proliferando in diversi Stati europei”.

L’ESEMPIO FRANCESE

Dopo il fallimento delle trattative in ambito Ocse a ottobre, Parigi ha deciso infatti di andare avanti con il prelievo della web tax.

Secondo la legge dell’Unione europea, le aziende americane possono dichiarare i loro profitti da tutto il blocco in un unico Stato membro, nella maggior parte dei casi in giurisdizioni a bassa imposizione fiscale come l’Irlanda o i Paesi Bassi.

Ma nel 2019 il Parlamento francese ha approvato una tassa del 3% sul fatturato dei colossi del digitale, accusati di evasione fiscale per via del “trasferimento” degli utili in Paesi a bassa o nulla tassazione. La web tax francese si applica alle società con entrate derivanti da queste attività superiori a 750 milioni di euro a livello globale e 25 milioni di euro in Francia. L’imposta ha fruttato 350 milioni lo scorso anno alle casse pubbliche francesi.

COSA HA FATTO L’ITALIA

Anche l’Italia ha lavorato a una propria web tax. “Nel 2019 ha introdotto con la legge di bilancio una propria digital tax, che è entrata in vigore nel gennaio 2020.” Come ha ricordato l’Ispi “in questo quadrimestre si manifesteranno i primi obblighi in relazione a tale imposta, dato che non si è concretizzata l’approvazione di una digital tax globale o europea. Il modello di tassazione ideato da Roma è molto simile a quello in vigore in Francia. Per entrambi i casi, gli Stati Uniti hanno aspramente criticato la scelta dei governi europei”.

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