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Così la Cina giochicchia pericolosamente coi suoi videogiochi

La Cina torna a limitare i videogiochi con dei tetti orari per i minorenni in occasione delle vacanze d'inverno. L'ultima restrizione era costata cara, in Borsa, a Tencent e a Netease. Per il comparto dei giochi made in China, però, il 2024 è stato un anno d'oro.

L’ultima volta che in Cina il governo era intervenuto per imporre una stretta sui videogiochi, vera e propria gallina dalle uova d’oro in patria per un numero sempre crescente di software house ma al contempo fenomeno considerato dal partito comunista a stregua di “oppio dei popoli 2.0”, le principali compagnie del Paese erano crollate in Borsa perdendo in poche ore quasi 80 miliardi di dollari.

LA DIFFICILE PARTITA TRA LA CINA E I VIDEOGIOCHI

Era appena iniziato l’inverno 2023 e Pechino aveva stabilito limiti di spesa in-game nei giochi online, vale a dire aveva provato ad arginare quelle microtransazioni che sono diventate rapidamente modello di business di tantissimi giochi apparentemente free-to-play ma in realtà madidi di items, skins, mappe e armi da acquistare a parte. Esattamente un anno dopo, sulla soglia delle vacanze d’inverno, che in Cina durano circa un mese, fino a metà febbraio, il governo è tornato imponendo questa volta un limite orario cui le compagnie dovranno attenersi.

LE SOFTWARE HOUSE INTERESSATE

Tencent, leader mondiale del settore per ricavi pari – nel terzo trimestre 2024 – a 167,19 miliardi di yuan (23,15 miliardi di dollari), risultati che la stessa holding ha attribuito proprio ai videogiochi pubblicati nel corso dello scorso anno, ha fissato per la propria utenza fino ai 18 anni un limite di 15 ore complessive tra il 13 gennaio e il 13 febbraio.

NetEase, sua principale concorrente, che proprio lo scorso mercoledì ha incassato l’upgrade da Morgan Stanley del rating del titolo da Equalweight a Overweight con conseguente aumento di target di prezzo a 108 dollari dal precedente 90, ha invece stabilito un tetto di 16 ore tra il 15 gennaio e il 14 febbraio.

QUANTO GUADAGNA LA CINA COI VIDEOGIOCHI?

Si stima che ormai a livello interno il comparto dei videogiochi made in China muova qualcosa come 45 miliardi di dollari. Lo scorso anno ha fatto il proprio debutto sulla scena internazionale una delle produzioni più attese e meglio recensite dalla critica specializzata: Black Myth Wukong.

Il titolo sviluppato dal team Yóuxì Kēxué, meglio noto in Occidente come Game Science, è stato capace di piazzare globalmente oltre 20 milioni di copie nel giro del mese di lancio e in grado di superare il precedente record detenuto sempre da un altro titolo cinese, Palworld, uscito nel gennaio 2024 e rimasto fermo a quota 15 milioni di unità.

Numeri che sembravano aver indotto la Cina ad allentare le proprie maglie: nel 2024 Pechino ha infatti approvato la commercializzazione di 1.416 videogiochi (di cui 1.306 locali e 110 stranieri), un vero e proprio record dal 2019.

NUOVA BATOSTA PER TENCENT?

Ma questa nuova intromissione governativa rischia di pesare notevolmente su un mercato in rapida ascesa. E, soprattutto, minaccia di incidere sui conti di Tencent, già alle prese con la decisione del Pentagono di inserirla tra le società della propria black list in quanto accusata dagli Stati Uniti di sviluppare prodotti per l’esercito cinese.

POSSIBILE EFFETTO DOMINO IN VISTA?

Non solo: Tencent negli anni ha acquisito un notevole numero di software house occidentali che rischiano di essere travolte da eventuali smottamenti dovuti a improvvise inchiodate negli affari della propria holding di riferimento.

Sempre a Tencent molti analisti guardano per un salvataggio di Ubisoft, uno dei principali attori europei che nell’ultimo periodo ha ammesso di essere alla ricerca di un compratore. Il gruppo cinese fa già parte dell’azionariato della Casa francese di Rayman, Assassin’s Creed e Just Dance e potrebbe compiere ora il passo definitivo visto il periodo complesso vissuto da Ubisoft.

UN PRECEDENTE CHE FA PAURA

Tutto questo permette insomma di comprendere non solo quanto sia globalizzato il settore dei videogiochi, ma soprattutto quale peso abbia la Cina in un comparto solo fino a pochi anni fa saldamente nelle mani di due soli Paesi: Usa e Giappone.

Nell’agosto del 2021 la National Press and Publication Administration aveva imposto ai minorenni di videogiocare nei weekend solo dalle 20 alle 21: una mossa che non era stata ritenuta sufficiente e aveva costretto il governo a intervenire nuovamente per bloccare la validazione dei videogiochi (che devono ottenere l’imprimatur del partito comunista per essere commercializzati in Cina) per otto mesi, congelando di fatto un intero mercato. Se accadesse nuovamente oggi le ripercussioni di simili scossoni si avvertirebbero anche nel gaming occidentale.

 

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