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Che succede se Facebook istituisce il proprio tribunale? L’articolo di Rapetto

Mark Zuckerberg ha deciso di istituire una specie di Corte Suprema e questo organismo entrerà in funzione entro la fine di quest’anno. L'articolo di Umberto Rapetto

Le Nazioni virtuali crescono mentre quelle con territorio più o meno ampio e cittadini in carne ed ossa non si accorgono di quel che sta accadendo.

Il progressivo venir meno della giurisdizione ordinaria lo abbiamo saggiato da tempo e un boccone amaro lo deglutiamo ogni qual volta una richiesta ai colossi del web – per ottenere informazioni indispensabili per la soluzione di un caso giudiziario – viene esaudita con grande lentezza e ritardo o addirittura respinta con le più diverse motivazioni.

Il fluido universo digitale ha imparato a replicare burocraticamente – quasi fosse una vendetta – alle sollecitazioni istituzionali, ben sapendo che il torpore degli uffici è pronto a fare il resto: i “big” delle piattaforme social, del commercio elettronico e dei motori di ricerca sanno calcisticamente fare “melina” e chi dovrebbe addentarli è manifestamente afflitto da una sorta di piorrea operativa.

Dopo aver visto la scandalosa impermeabilità al fisco di Amazon, Google & C. e la nonchalance con cui l’Erario (sempre feroce ed implacabile con i piccoli contribuenti) sopporta le palesi mortificazioni, ci si può stupire se Facebook ha deciso di istituire una propria autonoma Corte di Giustizia?

L’iniziativa, prospettata come la creazione di un organo interno di verifica dei contenuti, è in buona sostanza una dichiarazione di indipendenza la cui reale portata sfugge al cittadino (inconsapevole spettatore dello sgretolarsi di valori e principi) e persino a chi per mestiere, ruolo e missione dovrebbe avere il controllo della situazione.

Il sereno non dar peso a quel che si affaccia – nemmeno così timidamente – all’orizzonte è il metro del disinteresse ad occuparsi del futuro e una simile insensibilità non conforta chi ancora nutre fiducia nei Governi e nelle loro articolazioni competenti per materia.

Mark Zuckerberg ha deciso a novembre scorso di istituire una specie di Corte Suprema e questo organismo entrerà in funzione entro la fine di quest’anno: l’obiettivo è la gestione di ricorsi e lagnanze degli iscritti alla piattaforma che chiedono l’adozione di provvedimenti a fronte di comportamenti online o di post ritenuti lesivi di qualsivoglia diritto dell’interessato.

Se la gestione interna di piccoli conflitti sembra rappresentare un palliativo alle lungaggini dei procedimenti giudiziari che si accatastano nei tribunali in giro per il mondo, la “soluzione” delle liti in chiave autonoma (non parliamo di arbitrati o altre formule previste dai codici) evoca spettrali prospettive.

Da una parte si profila una esautorazione del potere giudiziario (di cui balena, con gran gioia dei malpensanti, una certa inutilità o inefficacia), dall’altra si sente un forte richiamo storico alla privatizzazione della giustizia avviata centinaia di anni fa nel nostro Sud. Quel “ci pensiamo noi” è l’etichetta araldica dell’albero genealogico delle grandi forme di crimine organizzato e spiega come il ricorrere ad oscure entità o a biechi personaggi alternativi alle Istituzioni per sanare ingiustizie o ottenere il dovuto abbia alterato gli equilibri in certe aree geografiche.

A voler immaginare le migliori intenzioni che possono aver animato il numero uno di Facebook, va detto che la commissione di sorveglianza si metterà presto al lavoro con almeno 11 membri e a breve è molto probabile che il numero dei componenti arrivi a quaranta per il completamento dell’organico previsto.

Ogni componente di questo consiglio resterà in carica tre anni e la sua permanenza potrà essere rinnovata al massimo due volte. Non sarà un impegno a tempo pieno, ma ci sarà uno staff stabile di “cancellieri” e altri operatori incaricati delle incombenze di istruzione delle pratiche. Come nei tribunali del mondo reale, è prevista una ripartizione in sezioni a ciascuna delle quali sarà attribuita per materia una specifica competenza ad agire e decidere.

Ma quali garanzie ha il cittadino/utente, a cominciare dalla privacy per giungere agli altri tanti suoi diritti fondamentali? Che fine faranno i “fascicoli” simil-processuali e le mappe delle litigiose relazioni interpersonali costituenti le diatribe? Cosa ne pensano i giudici togati di questa invasione di campo?

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