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Tlc

Che ne sarà della proposta Ue sul fair share?

A margine del consiglio informale Ue sulle tlc tenutosi a Léon, ai giornalisti che gli hanno chiesto se l'iniziativa “fair share” fosse stata del tutto accantonata, il commissario Breton ha replicato che la Commissione affronterà l’argomento in un libro bianco previsto per il 2024

Fair share fuori discussione, per il momento.

Il 10 ottobre la Commissione europea ha pubblicato i risultati della consultazione sul futuro del settore delle comunicazioni e delle sue infrastrutture

Da tempo gli operatori Telco vogliono dividere i costi del lancio del 5G nell’Ue con le Big Tech, che delle reti sono i principali utilizzatori, insistendo sul “fair share” ovvero il contributo equo di tutti gli attori digitali. Ma per i giganti del web, anziché di “fair share” si dovrebbe parlare piuttosto di “Internet tax” o “commissioni di rete”, visto che di tariffe si tratta.

A inizio mese venti ceo delle più grandi società di telecomunicazioni europee hanno invitato i legislatori dell’Ue a far sì che le Big Tech paghino per l’espansione delle infrastrutture di rete in tutto il continente. In una lettera aperta inviata all’Ue il 2 ottobre, gli amministratori delegati di Tim, Vodafone, Deutsche Telekom, Telefónica e altri hanno sollecitato una legislazione sul fair share.

Già lo scorso maggio le associazioni Etno e Gsma del settore tlc avevano inviato una proposta per addebitare a Big Tech il lancio del 5G alla Commissione europea, che a febbraio ha lanciato una consultazione pubblica nell’ambito del Connectivity Package, conclusasi il 19 maggio.

A quattro mesi dalla chiusura della consultazione pubblica, Bruxelles ha pubblicato l’esito: la maggior parte degli stakeholders, comprese le piattaforme digitali, le reti di distribuzione dei contenuti, i gruppi di consumatori e i cittadini, si è opposta al meccanismo del fair share.

Cosa ne sarà della proposta di equo contributo di tutti gli attori digitali ai costi per le infrastrutture tlc? Ecco che cosa ha in mente il commissario.

Tutti i dettagli.

I RISULTATI DELLA CONSULTAZIONE PUBBLICA

Il documento sull’esito della consultazione pubblica individua un consenso sulla necessità di spendere circa 300 miliardi di euro all’anno per la costruzione della rete, per ciascuno dei prossimi cinque anni. Tuttavia, dal documento emerge che tra i partecipanti alla consultazione solo i grandi operatori di rete ritengono che le tariffe siano una buona idea. Altri ritengono che siano impraticabili o che possano ostacolare l’innovazione.

“Fra i fattori che spingono verso il “no” la maggioranza degli intervistati c’è il timore di vedere messa a rischio la neutralità della rete, ma anche l’idea che il fair share possa tramutarsi in un disincentivo all’innovazione portando a una sostanziale riduzione degli investimenti sulle reti, o ancora che possa avere conseguenze negative sulla concorrenza, con contributi che potrebbero andare a rafforzare la posizione delle telco più strutturate perché più grandi e in grado di trasferire più dati a fronte dei quali chiedere una corresponsione alle Big Tech” riassume il Sole 24 Ore.

LA RICHIESTA DEI CEO DELLE TELCO ALL’UE

Prima della pubblicazione dei risultati della consultazione pubblica, Bruxelles aveva ricevuto l’appello di venti ceo di operatori tlc europei. La chiave, sottolinea la lettera, “di questo dibattito sono gli investimenti. L’Ue stima che saranno necessari almeno 174 miliardi di euro di nuovi investimenti entro il 2030 per raggiungere gli obiettivi di connettività”.

“Mentre il settore delle telecomunicazioni ha migliorato la connettività, i prezzi al dettaglio dei servizi di telecomunicazione sono generalmente diminuiti negli ultimi 10 anni mentre i costi sono aumentati”, hanno affermato i ceo nella missiva indirizzata all’Ue. “Le nuove tecnologie aumenteranno la domanda sull’infrastruttura di rete sottostante, aumentando ulteriormente i costi” aggiungono.

“NECESSARIO UN CONTRIBUTO EQUO”

Alla luce di tutto ciò “gli operatori europei delle telecomunicazioni chiedono ai politici dell’Ue di garantire un contributo equo da parte di quelle aziende che traggono maggiori benefici dalle infrastrutture che le telco costruiscono e gestiscono”.

Un tale meccanismo dovrebbe essere “ben definito e mirato, rivolgendosi solo ai maggiori generatori di traffico, escludendo i fornitori di contenuti e applicazioni più piccoli. Potrebbe includere responsabilità e trasparenza sui contributi ricevuti in modo che gli operatori investano direttamente nell’infrastruttura digitale europea”.

TIM, VODAFONE, ORANGE E DEUTSCHE TELEKOM TRA I 20 FIRMATARI

Tra i 20 ceo firmatari della lettera, ci sono Pietro Labriola, ceo e direttore generale di Tim, Margherita Della Valle, ceo di Vodafone Group, Josè Maria Alvarez-Pallete, presidente e ceo di Telefonica, Philip Jansen, ceo di BT, Timotheus Hottges, ceo di Deutsche Telekom Group, Christel Heydemann, ceo di Orange Group.

I PROSSIMI PASSI DI BRUXELLES

Dunque gli operatori di telecomunicazioni europei che spingono affinché le Big Tech contribuiscano a pagare per l’implementazione del 5G e della banda larga dovranno probabilmente aspettare la prossima Commissione per capire se sarà presentata o meno una proposta legislativa sulla questione dei finanziamenti della rete.

“Che questa consultazione rappresenti una pietra tombale alle richieste delle telco non è detto. Certo è difficile ora pensare a un’accelerazione su una questione che sta tenendo banco da oltre un anno in maniera strutturata” commenta il Sole 24 Ore.

Contestualmente alla pubblicazione dei risultati della consultazione, il commissario europeo Thierry Breton ha annunciato su Linkedin che ora lavorando al  “Digital networks act” per “ridefinire il Dna della regolamentazione di settore”. Al centro c’è un mercato unico unificato per le telecomunicazioni.

A margine del consiglio informale Ue sulle telecomunicazioni tenutosi a Léon, in Spagna il 23 e 24 ottobre, ai giornalisti che gli hanno chiesto se l’iniziativa “fair share” fosse stata del tutto accantonata, Breton ha replicato che la commissione affronterà l’argomento in un libro bianco previsto per il 2024 e prenderà in considerazione anche la futura legislazione denominata Digital Network Act.

“Non si tratta di risolvere un problema una tantum, come il “fair share”, ma di proiettarci nel futuro per cercare di definire la visione comune di cui abbiamo bisogno per il nostro continente”, ha dichiarato Breton, come riporta Bloomberg.

LA POSIZIONE ITALIANA

Tuttavia, il dibattito sul fair share non è finito, secondo Bloomberg.

Il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso ha sostenuto l’idea durante il consiglio informale Ue sulle tlc, affermando che “tutti gli attori del mercato che beneficiano della trasformazione digitale devono contribuire in modo equo e proporzionale ai costi delle infrastrutture”.

Secondo Urso, i risultati della consultazione pubblica europea dimostrano che “esiste una sostanziale polarizzazione tra gli stakeholder del settore”. Pertanto, il rappresentante del governo Meloni ha chiesto alla commissione di analizzare ulteriormente l’impatto che il traffico Internet delle grandi aziende tecnologiche ha sulle reti.

Un cambio di passo rispetto alla frenata avvenuta quest’estate per mano del sottosegretario della presidenza del Consiglio con delega all’Innovazione, Alessio Butti, che con una lettera inviata al commissario Ue per il Mercato interno, Thierry Breton, in merito alla consultazione avviata sul “fair share” aveva chiesto una moratoria in attesa di un’ulteriore indagine che producesse dati pubblici sul mercato e sugli investimenti più condivisi, come riassunto dal Sole 24 Ore.

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