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Cosa dicono Leonardo-Finmeccanica, Huawei e Zte su 5G e cyber

Tutti i dettagli sulle audizioni tenute il 7 ottobre in Parlamento dei rappresentanti di Leonardo-Finmeccanica, Huawei e Zte sul decreto legge che riguarda il perimetro della sicurezza cibernetica

 

Tre aziende, tre posizioni diverse. È quello che emerso ieri nel corso della audizioni in Parlamento sul decreto legge per la sicurezza cibernetica. Ecco parole, tesi e toni dei rappresentanti di Leonardo (ex Finmeccanica), Huawei e Zte.

CHE COSA PENSA LEONARDO-FINMECCANICA DEL DECRETO

Leonardo saluta con “grande favore e soddisfazione” il decreto legge sulla sicurezza cibernetica all’esame del Parlamento,  ha detto il responsabile Strategy & Market Intelligence della holding Enrico Savio, secondo cui si tratta di “norme che capacitano e non ostacolano”. Savio di Leonardo (ex Finmeccanica) ha sottolineato che “le risorse richieste non sono irrilevanti”, e che “Leonardo si sente parte integrante di questa visione, quindi è pronta a porsi a disposizione del Paese offrendo il proprio contributo” da un punto di vista delle competenze tecnologiche.

LE MINACCE DI HUAWEI ALL’ITALIA

Molto più ruvidi i toni usati dai vertici di Huawei Italia: il colosso di Shenzhen non vuole «fare il capro espiatorio» visto che «è in corso una battaglia geopolitica tra Usa e Cina». Parola di Luigi De Vecchis, presidente di Huawei Italia, in audizione alla Camera davanti alle commissioni riunite Affari costituzionali e Trasporti: se Huawei si sentisse discriminata «lascerebbe l’Italia, quindi mille impiegati dovrebbero trovarsi un altro lavoro».
Il presidente di Huawei Italia, nel corso dell’audizione sul decreto legge sul “Perimetro della sicurezza cibernetica”, decreto che ha una disciplina esplicita di raccordo con la normativa del cosiddetto “Golden Power”, ha attaccato l’amministrazione Trump.

I TONI RUVIDI CONTRO TRUMP E POMPEO

Il tema oggetto delle audizioni investe le prescrizioni in termini di sicurezza sulla costruzione delle reti 5G, materia su cui il pressing degli Usa, anche nei confronti dell’Italia, si sta facendo sentire. Il segretario di Stato americano Mike Pompeo pochi giorni fa in Italia ha lasciato pochi dubbi sul tema. «Non possiamo dar credito a un signore che viene qui a dire “fuori Huawei dalla Pa”, per noi è un grosso danno», ha replicato ai deputati De Vecchis che, parlando del decreto, ha assicurato che «la sicurezza è un obiettivo strategico» condiviso da Huawei, ma «non sono chiare le circostanze per determinare un pregiudizio alla sicurezza nazionale» e dovrebbe esserci «indipendenza dal Paese di origine».

LE FRASI DI DE VECCHIS E LA NOTA DI HUAWEI ITALIA

La virulenza delle parole di De Vecchis non è passata sotto silenzio. Tanto che la stessa Huawei con uno statement ha poi precisato che «l’azienda riafferma il proprio impegno nel Paese, sulla base di una presenza di 15 anni all’insegna della collaborazione e della crescita. Huawei non ha alcuna intenzione di lasciare l’Italia, che è uno dei mercati più importanti in Europa e nel mondo. Le dichiarazioni del Presidente facevano riferimento a un caso teorico e non hanno alcuna connessione con le politiche di cybersecurity che il Governo metterà in atto. Huawei supporta tutti I passi necessari per proteggere la sicurezza nazionale. Gli investimenti di Huawei in Italia sono confermati così come la fiducia in un ambiente aperto e collaborativo».

I NUMERI DI DE VECCHIS

Prima della precisazione di Huawei, De Vecchis aveva snocciolato numeri a iosa, ricordando come il gruppo cinese abbia dedicato «9mila ingegneri allo sviluppo del 5G e un investimento di alcuni miliardi di euro che ci ha consentito di essere leader», ma ha anche voluto affidarsi ai numeri per far capire che la questione è da quelle parti vista più come politica che altro: «Nel 2018 ci sono stati 157 attacchi, pari a 967 milioni di minuti di disservizi nella rete. Il 67% dovuto a system failure, il 18% a errori umani e solo il 5% ad attacchi hacker. Questi 967 milioni di minuti rappresentano lo 0,062% dell’intero sistema di comunicazione».

LA POSIZIONE DI ZTE

“Più morbidi” in audizione – rispetto a quelli di Huawei, ha sottolineato oggi il Sole 24 Ore – i toni usati dall’altro vendor cinese protagonista del roll out del 5G nel mondo, vale a dire Zte: «Non siamo contro il golden power e il rafforzamernto dei poteri del governo. Le norme che ci sono e ci saranno le rispettiamo e le rispetteremo», ha detto il responsabile Public Affairs Alessio De Sio.

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