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C’è un giudice a Berlino anche per Google: lo spezzatino si allontana?

La decisione del giudice distrettuale statunitense giunge a un anno di distanza dalla sentenza secondo la quale Google deteneva illegalmente il monopolio della ricerca su Internet. Mountain View non potrà siglare nuovi accordi esclusivi sulla falsariga di quello con Apple

Chi pensava che con Google, l’azienda hi-tech americana guidata da Sundar Pichai (nella foto), fossimo davanti a un nuovo caso Standard Oil il cui smembramento forzato da parte della giustizia americana diede origine a una pluralità di compagnie petrolifere, dovrà ricredersi, almeno per il momento.

Il giudice federale Amit Mehta di Washington, infatti, ha rigettato la richiesta del governo di ordinare a Mountain View la vendita del suo browser Chrome e del suo sistema operativo per smartphone e tablet Android che secondo il Dipartimento di Giustizia americano era necessaria per ripristinare il gioco della concorrenza sul mercato.

LA SENTENZA CHE HA SALVATO GOOGLE

“Google non sarà obbligata a cedere Chrome; né il tribunale includerà una cessione condizionale del sistema operativo Android nella sentenza definitiva”, si legge infatti nella sentenza appena emessa e che pare contraddire la precedente nella quale veniva messo nero su bianco che Google fosse monopolista. “I ricorrenti hanno esagerato nel chiedere la cessione forzata di questi asset chiave, che Google non ha utilizzato per attuare alcuna restrizione illecita”, ha scritto il magistrato investito del caso.

GOOGLE TIRA UN SOSPIRO DI SOLLIEVO (MA SI PREPARA A RICORRERE)

Non tutta la sentenza però è favorevole al colosso del Web avendo stabilito che Google non potrà più siglare accordi esclusivi che rafforzino ulteriormente la posizione del ​​suo motore di ricerca, come quello che ha visto Mountain View pagare miliardi di dollari ad Apple (nel caso in esame, 20 miliardi all’anno) per mantenere il suo dominio nella ricerca sui dispositivi iOS.

Cupertino dovrà insomma dotarsi di una alternativa e anche per quello sta sondando Anthropic e altri modelli di Ai non solo per potenziare la nuova Siri ma anche per costruirsi un motore di ricerca alternativo e al passo coi tempi, frutto dell’interlocuzione uomo – macchina e che non funzioni più attraverso semplici query immesse nel campo della ricerca.

GOOGLE È O NO UN MONOPOLISTA?

Accordi come quello tra Google e Apple hanno spinto il giudice Mehta a ribadire che l’azienda si stia comportando come un monopolista e sia ormai arrivata a detenere il 90 percento del mercato della ricerca. Per questo ha stabilito che Google dovrà condividere alcuni dei suoi dati di ricerca anche con i concorrenti.

FINISCE TUTTO COSì?

Insomma, sembra il solito caso in cui una montagna partorisce un topolino. Ma non è detto che tutto si fermi qui. “Ora la Corte ha imposto limiti al modo in cui distribuiamo i servizi Google e ci obbligherà a condividere i dati di Ricerca con i concorrenti”, ha affermato Google in un post sul blog . “Siamo preoccupati per l’impatto che questi requisiti avranno sui nostri utenti e sulla loro privacy e stiamo esaminando attentamente la decisione”.

Non solo Google ha lasciato intendere di voler impugnare la pronuncia per ottenerne (a suo rischio) un’altra totalmente favorevole, ma Mountain View lo scorso aprile ha perso un’altra enorme causa per monopolio con riferimento alle inserzioni pubblicitarie.

Secondo il giudice federale Leonie Brinkema che ha trattato il caso Google avrebbe “messo in atto una serie di atti anticoncorrenziali per acquisire e mantenere un potere monopolistico nei mercati dei server pubblicitari degli editori e degli scambi pubblicitari per la pubblicità display sul web”.

Oltre a ciò, l’azienda ha ricevuto un ordine di cessazione e astensione antitrust dalla Fair Trade Commission giapponese che ricalca una decisione antitrust confermata nel 2024 dall’Unione Europea e che culminò con multa. Infine, occorre considerare che sono numerose le Big Tech, inclusi gli astri nascenti dell’Intelligenza artificiale, che speravano Google fosse costretta a uscire dal mercato dei motori di ricerca, dunque non si escludono azioni analoghe future nel tentativo di ottenere giudicati differenti.

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