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Mossad

Benvenuti in Israele, terra prolifica per le startup

L'approfondimento di Daniel Mosseri

L’espressione startup nation? Superata. Non perché Israele abbia smesso di essere una fucina di imprese nate attorno a un’idea innovativa poi trasformata in un prodotto da lanciare sul mercato globale.

Nel solo 2018 il numero di addetti del settore hi-tech è salito di altre 19.000 unità, secondo quanto riportato dalla Israel Innovation Authority (Iia). A dare il benservito al concetto di startup nation è stato uno che se ne intende: Aart de Geus è il ceo di Synopsys, colosso statunitense della produzione di chip. In un paio di interviste concesse ai media israeliani nel 2018, de Geus ha definito lo stato ebraico “una potenza tecnologica” e una “scale up nation”, ritenendo il concetto di startup troppo legato all’idea di partenza per descrivere quello che sta succedendo in Israele. Parlando con Globes Israel, de Geus ha osservato che i cicli di eccellenza imprenditoriale attraversano di norma ogni cinque anni, mentre Israele è un paese che ha messo a segno quattro o cinque cicli consecutivi: “Questa è esperienza vera, non è più l’ora dei principianti”.

Gli ultimi dati diffusi dalla Iia gli danno ragione e Aharon Aharon, il ceo dell’autorità che sostiene il processo di modernizzazione dell’industria israeliana, non nasconde la sua soddisfazione: “La percentuale di lavoratori impiegati nel settore hi-tech è cresciuto dell’8% per un decennio”. Sempre secondo la Iia, a metà del 2019 i dipendenti del settore – trasversale – dell’innovazione erano saliti a 307 mila.

Israele ha 8,6 milioni di abitanti e fatte le debite proporzioni è come se in Italia oltre 21 milioni di persone dipendessero direttamente da settore hi-tech. La trasformazione dello stato ebraico da piccola potenza agricola, già esportatore di fiori, pompelmi e avocado, a motore dell’innovazione globale è avvenuta nel corso dell’ultimo quarto di secolo grazie a una combinazione di elementi che vale la pena di ricordare.

La guerra. La lunga serie di conflitti con i propri vicini e una minaccia terroristica senza fine hanno spinto gli strateghi israeliani a premere sul pedale della deterrenza, dotando il paese di sistema di difesa e di attacco all’avanguardia. Se dell’arma nucleare israeliana si parla poco in pubblico, molto più noto è l’Iron Dome, il sistema antimissilistico che intercetta gran parte dei missili ciclicamente esplosi da Gaza verso il sud di Israele. Meno noto, ma non per questo meno utile, è Watergen, un sistema per ricavare acqua potabile direttamente dall’aria usando motori di plastica a basso consumo energetico. In una zona di guerra, la possibilità di far giungere un camioncino che distribuisca acqua potabile estratta dall’aria può fare la differenza fra la vita e la morte. Come poi la storia del telegrafo insegna, è normale che molte invenzioni trovino applicazione fuori dall’ambito militare e oggi Watergen piazza con successo i suoi distributori di acqua a batteria solare là dove mancano una presa di corrente e un rubinetto (vedi alla voce grandi eventi o metropoli asiatiche dalla falda inquinata).

La ricerca. Israele ha centri universitari di eccellenza. Basti pensare, fra i tanti, al Technion di Haifa. Fondato nel 1912, l’Istituto Politecnico di Haifa già presieduto da Albert Einstein fa concorrenza ai più noti college statunitensi in settori come la fisica, le nanotecnologie, l’informatica e le intelligenze artificiali. Fra il 2004 e il 2013, l’Accademia reale svedese delle scienze ha assegnato quattro Premio Nobel per la chimica ad altrettanti ricercatori del Technion. A tenere alta la media di un paese all’avanguardia nello studio delle materie scientifiche, ha contribuito negli anni Novanta anche l’assorbimento in Israele di 1,6 milioni di ebrei russi e sovietici. Nessuno parlava l’ebraico: in compenso fra di loro c’erano migliaia di ingegneri e matematici formatisi nel solido sistema universitario dell’ex Urss.

La combinazione di una lunga leva e di studi di alto livello sono dunque le architravi sui cui si basa lo sviluppo dell’innovazione in Israele. Ma ricerca e sperimentazione costano, il che richiede un massiccio afflusso di capitali a favore degli startupper israeliani. Se lo stato provvede a finanziare i college, i centri di ricerca, e le forze armate, le nuove aziende hanno bisogni di altri fondi per candidarsi a entrare nel mercato.

(Estratto di un articolo pubblicato sulla rivista quadrimestrale Start Magazine; per informazioni e abbonamenti: info@startmag.it)

 

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