Da qualche giorno si può scaricare l’App Immuni, l’App che il Governo – Ministero dell’Innovazione in collaborazione con la task force di esperti – ha ideato per arginare i contagi da Covid-19.
In rilievo l’App riporta l’immagine di una donna con un bambino e di un uomo al pc: come dire la donna a casa e l’uomo al lavoro in ufficio. Questo almeno ciò che si leggerebbe.
Una copiosa moltitudini, tra parlamentari e cittadini, hanno sollevato l’annosa questione di “genere”, chiedendo la rimozione o almeno la modifica dell’immagine.
Dopo il polverone, sembra già che verrà cambiata la grafica dell’App Immuni, stante quel che si apprende dal Ministro Paola Pisano.
Stereotipo di genere? Insulto alle innumerevoli donne che lavorano? Regressione culturale del Paese? Chi può dirlo?
E se fosse semplicemente il modo per “attirare” attenzione nei confronti di un applicativo nuovo, se fosse una sorta di modalità indiretta pubblicitaria per captare l’umore e la rispondenza della funzione Immuni?
Di fatto, le prime persone a dare “attenzione” al mondo dell’App Immuni, ormai in funzione, sono state in gran parte donne, sia pure per una questione di “stereotipi di genere”.
Eppure, per l’intera durata di costruzione e implementazione, l’App Immuni ha ricevuto ben altre attenzioni. La maggior parte delle critiche sono state appuntate più sul funzionamento dell’applicativo e sulle eventuali possibili conseguenze dello stesso, tra cui privacy, conflitti d’interesse e utilità.
Questa volta, però, il polverone – si fa per dire – è stato sollevato, nella stragrande maggioranza, da donne ma non solo, su una questione squisitamente di forma e di immagine.
L’immagine della mamma con il bambino è un’immagine bella: personalmente la lascerei.
L’attenzione piuttosto andrebbe posta sulla funzione dell’App Immuni, sulla reale utilità di scopo di questa funzione. Sull’onda coreana, forse, si sono concepiti modelli che non sempre hanno la medesima funzionalità e utilità, se applicati in aeree di Paesi diversi, con una cultura differente e una storia sanitaria altrettanto diversa.
Forse chi ha disegnato la grafica dell’App Immuni ha pensato a qualcosa per cui distinguersi dal modello coreano: ieri abbiamo ricordato la nascita simbolica della Repubblica italiana, sorta a seguito di Referendum che, sulla scheda elettorale, imponeva la scelta tra “monarchia” e “repubblica”, quest’ultima impersonata da una donna, con il volto rivolto a ponente, sull’intera penisola italiana.
Sono immagini forti, distintive, inequivocabili.
L’App Immuni ne presenta un’altra, di altro genere, ma con una componente femminile importante, quella di madre. E’ molto bella questa immagine in sé.
Sarebbero bastate, piuttosto, altre immagini in aggiunta: quella di un uomo con il figlio e quella di una donna al lavoro.
Per avere parità di storia e di condizione alla grafica dell’App bastava e basta aggiungere.
Ora più che mai, all’indomani di questa epocale pandemia, occorre dare un’immagine collettiva di Popolo, fatto di donne e uomini, bambini e anziani, lavoratori e pensionati.
Disegnando una funzione App – una qualunque riferita all’Italia – bisognerebbe ricordarsi non di imitare un modello (coreano o di altra nazione del Mondo), ma di presentare l’immagine di noi, dell’Italia cioè nel Mondo.
Non è questione di stereotipi di genere, né di genere: è solo questione di creare un’idea di Paese post pandemia, anche solo attraverso l’App Immuni, un applicativo che va necessariamente migliorato, rendendolo più fruibile per il sistema sanitario locale in primis.