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Amazon, Ibm e Chrysler si affidano alla cinese Dahua bandita dagli Usa?

Che cosa ha svelato Reuters sui clienti americani della cinese Dahua e le versioni di Amazon, Ibm e Chrysler

Non lascia indifferenti la notizia che si leggeva ieri sera sulla home page di CNN: i casi di Covid negli Usa hanno valicato la soglia del milione di unità mentre il numero dei morti ha superato quello dei caduti nella guerra più sanguinosa combattuta dall’America nel dopoguerra, il Vietnam.

Per limitare i danni, però, il governo americano potrebbe essere costretto a sorvolare su principi fino a poco tempo fa incrollabili, uno dei quali – sicuramente il più paradossale, visti i tempi di scontro frontale Usa-Cina – potrebbe essere una legge dell’anno scorso appena rafforzata che proibisce al governo (e presto anche alle aziende a stelle e strisce) di acquistare tecnologia da aziende cinesi implicate in quella che viene considerata la barbarie del nuovo millennio: la repressione degli Uiguri, i musulmani residenti nella regione cinese dello Xinjiang che Pechino considera poco meno che terroristi irredimibili.

Lo scoop l’ha fatto Reuters, che ieri in un lungo lancio ha spiegato come in America siano non solo numerose ma anche prestigiose le aziende che, di fronte ai lunghi tempi di consegna di produttori come FLIR, leader del settore negli States, stanno facendo incetta di telecamere termiche made in China.

Una mossa, del resto, che appare giustificata dal monito con cui la Food and Drug Administration segnalava preoccupata la carenza in America di dispositivi di questo genere – comodissimi perché alternativi al comune termometro che, oltre a mille impicci, ha tempi di misurazione assai più lunghi.

Si è detta persino pronta, la FDA, a chiudere un occhio nel caso le attrezzature per far fronte all’emergenza procurate in questo frangente non fossero strettamente in linea con le proprie stesse regolamentazioni in quanto prodotte da paesi stranieri.

Scelta apparentemente saggia, quella della FDA, essendo fatta per assecondare una vera e propria frenesia da parte di imprenditori ansiosi di riaprire quanto prima le saracinesche e allinearsi subito ai requisiti di sicurezza in questi tempi di pandemia.

“Stiamo vedendo un sacco di aziende”, ha dichiarato ad esempio Evan Steiner, imprenditore californiano la cui EnterActive Networks commercializza apparati di sorveglianza prodotti localmente e non, “che stanno facendo l’impossibile per preparare il ritorno della propria forza lavoro”.

Ed è proprio qui che rinveniamo il problema grosso come una casa segnalato da Reuters: a fare affari d’oro in America in questo momento è Dahua, leader cinese del settore i cui stabilimenti si trovano nella provincia dello Zhejiang.

Azienda che ha assunto una certa notorietà nella stampa specializzata dal momento in cui Pechino – secondo l’accusa mossa dagli Stati Uniti – le ha affidato il compito di mettere in piedi un capillare sistema di sorveglianza nello Xinjiang nel più completo spregio dei diritti dei sorvegliati.

È per questo motivo che l’anno scorso Dahua finì insieme ad altre sette aziende cinesi hi-tech in una blacklist del governo federale con l’accusa di agire contro gli interessi della politica estera Usa in quanto “implicate nella campagna cinese di repressione, detenzione arbitraria di massa e sorveglianza ad alta tecnologia contro gli Uiguri, i Kazaki e altri membri delle minoranze musulmane”.

Peccato che il provvedimento fosse pensato per gli appalti del governo, e non per le ordinarie transazioni commerciali delle aziende private alle quali, come si legge nel sito web del Bureau of Industry and Security, viene semplicemente raccomandato di “procedere con cautela”.

Ma la cautela in questione sembra essere stata abbandonata del tutto da un gigante Usa come Amazon, che secondo le fonti di Reuters avrebbe acquistato da Dahua 1.500 telecamere termiche – un terzo delle quali destinate ai propri stabilimenti negli Usa – per un controvalore di 10 milioni di dollari.

La società di Bezos sarebbe peraltro in ottima compagnia, visto che tra i recenti clienti di Dahua si segnalano IBM e Chrysler, le quali – pur trincerandosi dietro un no comment davanti alla richiesta di conferma di Reuters – avrebbero acquistato rispettivamente 100 e 10 telecamere termiche made in China.

Anche Amazon in verità non ha voluto confermare l’acquisto, spiegando invece che tutto il suo hardware rispetta le leggi nazionali, statali e locali e che la decisione di ricorrere alle telecamere termiche è nata dall’esigenza di “supportare la salute e la sicurezza dei nostri addetti, che continuano a fornire un servizio critico alle nostre comunità”.

Inoltre, ha aggiunto Amazon, la società si sta procurando i dispositivi da “molteplici” produttori, di cui non ha comunque voluto fare i nomi (ma secondo alcuni dipendenti interpellati da Reuters si tratterebbe di Infrared Cameras oltre che di FLIR).

Fin qui nulla di sorprendente, a parte una serie di affari discutibili di cui l’economia di mercato è piena. Esiste, anzi, una logica stringente nel ricorrere ad un fornitore che si dice impegnato, con la propria tecnologia, a “mitigare la diffusione del Covid-19”, e le cui telecamere termiche hanno già colonizzato ospedali, aeroporti, stazioni dei treni, fabbriche e uffici governativi.

Il problema è che quelle telecamere, per svolgere il loro compito, sembra siano state munite – in pieno stile Xinjiang – di un software di riconoscimento facciale che consente loro di memorizzare i volti delle persone cui è stata misurata la febbre e di monitorarle anche in seguito, persino mentre sono in movimento.

Ad Amazon – ça va sans dire – negano seccamente l’insinuazione. Ma il guaio  del colosso dell’e-commerce non è nemmeno questo, perché il governo sospetta ben altro: ossia che dentro quelle telecamere ci siano delle “backdoor” che cosentirebbero a Pechino di carpirne i dati e metterli a disposizione della propria intelligence.

Anche in questo caso, è giunto comunque il secco diniego di Amazon, che giura che nessuna delle telecamere acquistate è “connessa a network” e che “nessuna informazione personale sarà visibile, raccolta o immagazzinata”.

Ma il sospetto permane, come la possibilità concreta che Amazon paghi un caro prezzo quando, nel prossimo agosto, entrerà in vigore una nuova legge che impedisce alle agenzie del governo federale di stilare o rinnovare contratti con aziende che acquistino da società come Dahua “qualsiasi tipo di attrezzatura, sistema o servizio (…) come componente sostanziale o essenziale di qualsiasi sistema”.

In ballo, in poche parole, potrebbe esserci persino il mega-contratto da 10 miliardi di dollari per il servizio cloud del Pentagono – un affare per Amazon che a Donald Trump, nemico giurato di Jeff Bezos, non è mai andato giù.

Ma anche questa è una battaglia con finale non predeterminato, visto che sono numerose le aziende americane che, a fronte del rischio di rimanere sprovvisti di tecnologia critica in un momento delicato come questo, hanno supplicato il Congresso di ritardare l’entrata in vigore di quel bando.

Reuters a tal proposito ricorda che spetterà al Segretario di Stato Mike Pompeo fornire chiarimenti esaustivi su ciò che sarà o non sarà consentito  fare alle società Usa.

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