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Amazon, Google, Ibm. Il caso Cloud e il rischio Nuvolonia

Il commento di Umberto Rapetto, generale della Guardia di Finanza in congedo, già comandante del GAT Nucleo Speciale Frodi Telematiche, ora docente universitario, giornalista e scrittore Eurasia, Estasia e Oceania, le aggregazioni intercontinentali nel “1984” di Orwell, sono state superate da una immaginaria “Nuvolonia”. Non la si trova sulle mappe geografiche, né all’interno della sofisticata cartografia…

Eurasia, Estasia e Oceania, le aggregazioni intercontinentali nel “1984” di Orwell, sono state superate da una immaginaria “Nuvolonia”.

Non la si trova sulle mappe geografiche, né all’interno della sofisticata cartografia che portiamo con noi e dalla quale ci facciamo guidare negli spostamenti di tutti i giorni.

E’ sopra le nostre teste. E lo è non solo “materialmente”, ma anche nel più deleterio senso figurato. E’ la nuova macro-nazione di cui siamo – cittadini, imprese, governi – coscienti o inconsci ostaggi.

Parliamo del “cloud”, non di cirri o nembi che disegnano il cielo e solleticano la nostra fantasia. Nuvolonia è la vera superpotenza che domina il pianeta, perché nei suoi server è custodito l’inestimabile tesoro delle informazioni e dei segreti a queste correlati. I dati anche più riservati sono stati progressivamente immagazzinati a buon prezzo nei forzieri digitali di mercanti la cui sorprendente economicità non è mai stata valutata a pieno da chi vi affidava – non esagero – il proprio destino.

La coesistenza di più operatori e una sorta di equilibrata distribuzione di ruoli non ha mai dato presagio di scenari funesti. Il grande flusso di dati verso destinazioni misteriose (nessuno sa dove siano davvero le proprie informazioni) non è mai sembrata una dolorosa trasfusione, né mai nessuno ha immaginato come un vampiro chi dava la disponibilità a succhiare tutti i dati dalle vene del nostro sistema cardiocircolatorio tecnologico.

Animati da finalità imprenditoriali e talvolta abbinati a più o meno ingiustificate ombre di scopi diversi dalle dichiarazioni di intenti, i grandi player del “cloud computing” stanno arricchendosi di dati, nuovo petrolio del terzo millennio. Le garanzie offerte a chi si affida loro sono spesso tradite da eventi di cronaca in cui emergono drammatici saccheggi dei più pingui archivi elettronici. Se i “databreach” ancora non sono seguiti da esemplari sanzioni e da iniziative governative draconiane, va detto che eventuali abusi e utilizzi impropri non fanno notizia. Analogamente non si parla – almeno dalle nostre parti – delle realtà che, maggiormente caratterizzate dalla sensibilità delle informazioni trattate, stanno per alloggiare i propri database critici nelle mani di fornitori esterni.

Il Pentagono – cui non dovrebbero mancare le risorse umane, organizzative e tecniche necessarie – sta per cedere la cloche del proprio patrimonio informativo e ha indetto una gara per l’aggiudicazione del servizio decennale per la Joint Enterprise Defense Infrastructure. L’acronimo JEDI fa correre il nostro pensiero alla “forza” nelle pellicole di Star Wars, ma la prima manciata di fotogrammi che vengono in mente sono quelli di Furio, l’indimenticato protagonista di “Bianco, Rosso e Verdone”. La scena è quella dell’area di servizio, quando Magda insiste a voler usufruire della toilette nonostante il manifesto disappunto del marito che non esita a scandire “te lo ripeto per l’ottocentocinquantesima volta: i bar e i bagni pubblici sono i distributori automatici della salmonellosi e del tifo”.

Chi si ostina a raccomandare cautela nel ricorso al “cloud” somiglia proprio a Furio, e la similitudine culmina nella fatidica esclamazione “Tanti auguri, e in bocca al vibrione, che te devo di’?”.

La responsabilità di custodire informazioni di così elevata criticità ha un peso incredibile e molte aziende tecnologiche hanno pensato di disertare la competizione per l’appalto. Si è ritirata dalla corsa persino Google, con grande gioia di Jeff Bezos – il boss di Amazon – che il 14 ottobre scorso ha manifestato il suo entusiasmo in una conferenza al Wired25 Summit a Los Angeles. L’idea di accaparrarsi 10 miliardi di dollari ha galvanizzato Bezos, ma il fatto che sia lui il troppo scontato “papabile” ha innescato polemiche e reazioni formali. IBM, ad esempio, ha presentato esplicite lagnanze al Government Accountability Office (il GAO, qualcosa di simile alla nostra Corte dei Conti…) segnalando il sospetto che il capitolato fosse stato tagliato a misura per favorire Amazon.

Non mi preoccupano le beghe d’oltreoceano. Mi spaventano le questioni di libera concorrenza ma i miei veri timori hanno ben altre radici.

Indipendentemente da chi avrà lo scettro, il problema è Nuvolonia. Non è una questione contrattuale, ma sociale, diplomatica, politica.

Come sulla scacchiera su cui si gioca a dama, la pedina di chi gestisce il cloud mangia tutte quelle che trova sul suo percorso.

La faccenda ci riguarda da vicino. In un Paese consapevole che il futuro è già cominciato ci si metterebbe subito al lavoro per scongiurare una apocalisse annunciata.

Uno Stato davvero evoluto dovrebbe far scattare un piano di emergenza per evitare un dissesto idrogeologico virtuale: la voragine pronta a deglutire i database vitali potrebbe essere il big bang di una nuova invisibile schiavitù in cui non ci saranno liberti o altre posizioni intermedie.

Non c’è più tempo. Una cooperazione tra istituzioni e industria nazionale deve scattare senza ulteriori ritardi e con una direzione lucida e lungimirante. Non può essere un ulteriore Ponte Morandi.

Umberto Rapetto
Generale GdF in congedo – già comandante del GAT Nucleo Speciale Frodi Telematiche
Docente universitario, giornalista e scrittore
CEO @ HKAO Human Knowledge As Opportunity 
Consigliere di amministrazione di Olidata con delega alla cybersecurity

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