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Londra

Uk, ecco la Green Industrial Revolution di Johnson

Green Industrial Revolution

 

Dopo avere annunciato il restart nell’azione del suo governo, Boris Johnson si è subito fermato ai box. Il premier britannico infatti è stato costretto all’auto-isolamento fiduciario dopo essere venuto a contatto con un parlamentare Tory poi risultato positivo al Covid-19. Nessuna positività né sintomi della malattia sono emersi per BoJo, che ad aprile era pure finito in ospedale per il virus.

Così dopo questa falsa partenza Johnson ci ha riprovato, annunciando ieri i 10 punti di una super-innovativa Green Industrial Revolution, la Rivoluzione Industriale Verde, che traghetteranno il Regno Unito verso la transizione energetica. Non si tratta di una novità assoluta: già durante la conferenza di partito online dello scorso 6 ottobre Johnson aveva parlato della sua volontà di far diventare lo Uk “l’Arabia Saudita dell’energia eolica”. Dietro tutto questo entusiasmo green i media britannici vedono l’influenza della fidanzata del Primo Ministro, Carrie Symonds, artefice secondo i più della cacciata di Dominic Cummings dallo staff di Downing Street e ambientalista convinta.

Al primo punto del piano del Governo c’è la produzione di energia eolica per consentire a ogni casa del Regno Unito di essere powered da energia pulita quadruplicando i 40GW attuali entro il 2030 e creando 60mila posti di lavoro. Al secondo punto c’è l’idrogeno, con l’obiettivo di generare entro il 2030 5GW di produzione di carbone idrogeno a basse emissioni per l’industria, i trasporti pubblici e le case dei cittadini inglesi. Al terzo punto il nucleare con lo sviluppo della nuova generazione di reattori avanzati che garantirebbero un “nucleare pulito” e creerebbero 10mila posti di lavoro.

Poi ci sono i veicoli elettrici con il sostegno alle case automobilistiche Uk nel Nord Est, nel Galles Occidentale e nelle West Midlands per accelerare la transizione. Al quinto punto i trasporti pubblici con investimenti a zero emissioni e uno rinnovato interesse per lo sviluppo di piste ciclabili e strade per i pedoni. Poi, sesto punto, la decarbonizzazione delle industrie del settore marittimo e dell’aviazione civile con il progetto zero emissioni per le navi e gli aerei. Al punto sette si prevede un programma per rendere case, edifici, scuole ed ospedali più verdi, caldi e efficienti dal punto di vista energetico, con la creazione di 50mila posti di lavoro entro il 2030. Il punto 8 rivela l’ambizione di fare del Regno Unito un leader mondiale nella tecnologia di stoccaggio delle emissioni che hanno un effetto nocivo sull’atmosfera. Al punto 9 c’è la protezione della natura e degli ambienti naturali e la messa a dimora di 30mila ettari di alberi all’anno. Infine, il punto 10: sviluppare tecnologie cutting-edge per fare della City di Londra il centro globale della finanza verde. Per questo ultimo punto il governo si avvarrà della consulenza dell’ex governatore della Bank of England, Mark Carney.

Il programma di Johnson mira a fare del Regno Unito un Paese a emissioni zero entro il 2050. Esattamente come previsto anche dal suo predecessore a Downing Street, Theresa May. Il Governo investirà 200 milioni nella creazione di “carbon capture clusters” per creare 50mila posti di lavoro nell’Humber, Teesside, Merseyside e Port Talbot; 500 milioni di sterline nella tecnologia per l’idrogeno e 525 milioni per gli impianti nucleari. Il programma prevede anche aiuti finanziari per le famiglie e le imprese che parteciperanno attivamente alla transizione.

Johnson si vuole presentare al vertice Onu sul cambiamento climatico (Cop26) – che organizzerà lui a stesso a Glasgow nel novembre 2021 – in grande forma e con una leadership acquisita nel settore. Il suo partito può vantare una grande tradizione in materia di conservazione e preservazione dell’ambiente, ma sono in molti in casa Tory a chiedersi quale sarà il costo complessivo di questo progetto e chi lo pagherà.

 

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