La strategia di Putin potrebbe essere questa: usare la leva del gas per riaprire i tavoli negoziali con l’Occidente (attraverso il ventre molle dell’Europa) e rimettere tutto in discussione, compreso il congelato gasdotto di Nord Stream 2. Un triplo salto mortale, date le circostanze della guerra in corso contro l’Ucraina, ma le parole del presidente russo al termine del vertice fra Russia, Iran e Turchia a Teheran meritano di essere riportate e poi interpretate.
“Se la Russia non recupererà la turbina riparata in Canada, la capacità di flusso giornaliero del gasdotto rischia di ridursi significativamente entro la fine di luglio”, ha detto il leader del Cremlino, aggiungendo poi: “Abbiamo ancora un percorso pronto: è il Nord Stream 2, possiamo metterlo in funzione”.
Minaccia e proposta, un classico della tattica putiniana. Un boccone lanciato alla vigilia del giorno che tiene tutta Europa con il fiato sospeso, e già questa è una mezza vittoria (o una mezza sconfitta, dipende dal lato in cui si sta con il naso per l’aria). Domani infatti finiscono i lavori di manutenzione annuali su Nord Stream 1 e si capirà se Mosca ha intenzione di riprendere a inviare gas come previsto dai contratti o continuerà a utilizzare questa leva per mantenere alta la pressione (e la tensione) degli europei.
La cosa più probabile è che Putin continuerà a giocare come il gatto con il topo, minacciando e rassicurando a metà, aprendo e chiudendo a comando quei preziosi rubinetti, con il contorno dell’informazione dopata pronta a drammatizzare ogni prospettiva catastrofica: un inverno senza gas russo significa chiusura di imprese, blocchi della produzione, riscaldamenti razionati. un inverno al gelo al tempo del riscaldamento climatico, un bel paradosso.
Le ultime indiscrezioni su quel che accadrà da dopodomani le hanno fornite l’Handelsblatt e la Reuters. Il quotidiano tedesco cita fonti industriali e persone informate dei piani di esportazione russi. L’agenzia internazionale si appoggia ad altre due fonti non meglio identificate. La notizia è la stessa: dopo la manutenzione ordinaria del gasdotto Nord Stream 1, la Russia tornerà a fornire gas all’Europa ma a un livello ridotto. L’Handelsblatt parla di conferme arrivate alle aziende dei volumi di consegna iniziali, cui oggi potrebbe seguire l’impegno sull’intero 40% delle forniture via Nord Stream 1. È stessa quantità passata attraverso il gasdotto a partire da metà giugno, prima dello stop completo dovuto ai lavori di manutenzione iniziati dieci giorni fa. Insomma, si riparte come prima: con i flussi a singhiozzo, la novella della turbina Siemens a seminare zizzania tra gli alleati occidentali (Germania contro Canada e Kiev contro tutti) e un intenso lavorio europeo per trovare una strategia che tenga dentro i sempre più sfiancati 27 Stati membri.
A Bruxelles la Commissione europea annuncia oggi un piano di emergenza sul quale le trattative sono state in piedi fino all’ultimo secondo. È un piano che prevede diversi scenari, compreso quello più difficile che le forniture di gas russo attraverso il Nord Stream 1 non riprendano affatto, o si interrompano prima dell’inverno. “Stiamo lavorando sul peggiore scenario possibile, cioè che Gazprom non fornisca più gas all’Europa”, ha detto un portavoce della Commissione dopo che via agenzia si era sparsa la voce che l’Ue fosse ormai convinta che dal gasdotto baltico non sarebbe arrivato più un soffio di gas.
Secondo le indiscrezioni di Politico, il piano non sarebbe affatto indolore e imporrebbe riduzioni vincolanti del consumo di gas in caso di emergenza, come quella che si determinerebbe dallo stop da parte della Russia. “Il piano della Commissione per la riduzione obbligatoria dei consumi prevede un meccanismo giuridico che consentirebbe ai Paesi di decidere se adottare le misure con un voto a maggioranza qualificata”, ha scritto Politico, “e in questo modo si scavalcherebbe di fatto il Parlamento europeo e si negherebbe a un singolo Paese la possibilità di porre il veto”.
L’obiettivo è ottenere l’approvazione del piano a livello nazionale durante la riunione straordinaria del Consiglio dell’Energia del 26 luglio, hanno dichiarato i tre diplomatici al quotidiano, anche se il dibattito è ancora in corso e i piani devono ancora essere finalizzati: “Le discussioni si concentrano sull’obbligo per i Paesi di ridurre il consumo di gas di una certa quantità dall’autunno alla primavera. Secondo i due diplomatici, è stata ipotizzata una riduzione tra il 5% e il 20%, con l’aspettativa di un accordo finale tra il 10% e il 15%”.
Un’idea controversa, ha ammesso un funzionario europeo al Financial Times, “perché gli Stati membri hanno esigenze energetiche diverse”: ad esempio, è più difficile per la Germania ridurre il consumo di gas, ad esempio del 5%, rispetto alla Spagna, perché quest’ultima è meno dipendente dalle forniture russe.
Ma la strada europea è l’unica percorribile per evitare l’eventuale tutti contro tutti invernale. Più che indicazioni (o prescrizioni) sui risparmi, serve però un accordo sulla solidarietà comune. Per il momento si intensificano le intese regionali, come quelle stipulate dalla Germania con i vicini cechi e austriaci o quelle di massima con Olanda, Danimarca, Slovenia. Il deputato europeo della Csu Markus Ferber arriva al punto: “Non c’è bisogno di consigli per il risparmio energetico sulla temperatura nelle case o negli uffici, come sta progettando la Commissione europea. È importante la solidarietà in Europa. Già in passato si sono verificati problemi di approvvigionamento di gas, ad esempio nel 2007, quando la Germania ha rifornito i Paesi dell’Europa centrale e orientale con gas proveniente dai propri impianti di stoccaggio. Ora potrebbe essere necessario fare il contrario”. Concretamente, Ferber ritiene che paesi come la Polonia, che ha già riempito i suoi impianti di stoccaggio al 98%, abbiano il dovere di farlo. Questi Paesi dovrebbero aiutare la Germania in caso di interruzione delle forniture. “Questa è solidarietà in azione”, dice ora Ferber, “ed è compito dell’Ue regolamentare questo aspetto”.
Non sarà comunque facile, anche perché Berlino non gioca da posizioni di forza questa partita. Molti Paesi l’accusano di non volersi prendere il fastidio di polemiche interne prolungando l’attività delle centrali nucleari, cosa che ridurrebbe la sua fame di gas. Ma su questo potrebbero esserci novità nelle prossime settimane. Su tutto resta il peso del fallimento della politica energetica tedesca, fissato in una considerazione molto semplice: l’Europa corre ai ripari perché Putin sta utilizzando il gas come strumento di pressione politica, e questo nel bel mezzo di una guerra da lui scatenata. È esattamente quello che tutti i governi tedeschi avevano negato potesse accadere quando stavano legando il destino energetico proprio (e dell’Europa) agli umori degli inquilini del Cramlino.