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Sabotaggio Nord Stream

Tutte le conseguenze geopolitiche dell’accordo Usa-Germania sul Nord Stream 2

Le implicazioni geopolitiche dell’accordo Usa-Germania-Russia sono rilevantissime, ben oltre la partita energetica e la questione ucraina. Ecco quali sono. L'analisi di Federico Punzi, direttore editoriale di Atlantico Quotidiano

 

Si era ormai capito da tempo che l’amministrazione Biden avrebbe mollato l’osso Nord Stream 2, almeno dalla rinuncia ad applicare le sanzioni inflitte alla società costruttrice del gasdotto e al suo amministratore delegato, Matthias Warnig, già agente della Stasi e amico personale di Vladimir Putin. E ne era a tal punto consapevole Angela Merkel che già lo scorso anno, scommettendo su una affermazione del candidato democratico alle presidenziali Usa, aveva tenuto duro di fronte alle pressioni e alle misure punitive di Trump (nuove sanzioni contro il gasdotto e il ritiro di parte del contingente Usa in Germania).

Mercoledì sera è arrivata l’ufficialità: Washington e Berlino hanno trovato l’accordo per porre termine alla disputa sulla seconda pipeline che porterà il gas russo in Germania. Un’intesa maturata nel corso dell’ultima visita della Merkel alla Casa Bianca, ma molto probabilmente anche a Ginevra, durante i colloqui diretti tra Biden e Putin. Certo, il presidente Usa non poteva permettersi di annunciare la ‘resa’ americana con la cancelliera ospite alla Casa Bianca.

La “compensazione” offerta da Berlino – garanzie e promesse all’Ucraina scritte sull’acqua – è la stessa che Trump aveva fino all’ultimo rispedito al mittente perché considerata, al dunque, non esigibile.

“Se la Russia tentasse di utilizzare l’energia come arma o commettesse altri atti aggressivi contro l’Ucraina, la Germania agirà a livello nazionale e spingerà per misure efficaci a livello europeo, comprese sanzioni, che limitino le capacità di esportazione russe nel settore energetico”.

Il che, tra parentesi, rappresenta una enormità nella forma ancora prima che nella sostanza, perché in un accordo bilaterale con gli Usa Berlino impegna tutta l’Ue ad adottare sanzioni contro una eventuale condotta russa causata da una sua partnership bilaterale con Mosca. Insomma, siamo un protettorato tedesco. Chiusa parentesi.

Attenzione però: nessuna clausola “kill switch” nell’operatività del nuovo gasdotto. I tedeschi hanno respinto la richiesta americana di sospendere i flussi di gas in caso di atti aggressivi da parte russa, con la scusa che si tratta di una iniziativa privata in cui il governo federale non può metter becco… Non si capisce dunque in concreto quali sarebbero queste misure che dovrebbero limitare le esportazioni energetiche russe. Ed è lecito dubitare che il governo di Berlino metterebbe davvero al primo posto gli interessi di sicurezza dell’Ucraina.

Lo ha capito il Wall Street Journal, che ha parlato di un accordo “imbarazzante per la sua debolezza”, al punto che “si possono sentire le risate al Cremlino”.

Usa e Germania concordano nel considerare nell’interesse dell’Europa che il gas russo continui a transitare per l’Ucraina oltre il 2024 e quindi Berlino si impegna a utilizzare tutte le sue leve per facilitare il rinnovo fino a dieci anni dell’accordo in scadenza tra Mosca e Kiev per il transito di gas, nominando un inviato speciale per favorire i negoziati.

È questa la parte dell’accordo che include anche la Russia, non potendo formalmente essere presentato come un accordo a tre Usa-Germania-Russia. Ma Merkel e Putin ne hanno discusso personalmente al telefono. In pratica, il presidente russo si impegna a fare il bravo per un decennio. Può godersi la vittoria strategica senza cercare di stravincere, di forzare la mano. Basterà aspettare perché il nuovo assetto faccia il suo corso e produca gli effetti geopolitici desiderati.

La debolezza dell’accordo è nei fatti: il gas russo non avrà più bisogno di passare per l’Ucraina, ma Kiev dovrebbe essere rassicurata dall’impegno di Stati Uniti e Germania a chiedere a Mosca di continuare a pagarle i 2 miliardi annui di diritti di transito, per gentile concessione. Di nuovo il Wall Street Journal: “Stanno scherzando?”

Nel frattempo, Berlino si impegnerà ad aiutare Kiev anche a differenziare le sue forniture energetiche, insomma a diventare “green”, con un non meglio precisato “Fondo verde per l’Ucraina” di 148 milioni di euro iniziali. Come dire, preparatevi a fare a meno dei due miliardi russi.

È chiaramente un accordo capestro per l’Ucraina, i cui interessi economici e geopolitici risultano di fatto sacrificati, ma anche un campanello d’allarme per la Polonia e i Paesi Baltici. E infatti a Kiev, ma anche a Varsavia, non l’hanno presa affatto bene. Così recita il comunicato congiunto dei Ministeri degli esteri:

“La decisione di costruire Nord Stream 2 presa nel 2015, pochi mesi dopo l’invasione e l’annessione illegale del territorio ucraino da parte della Russia, ha creato una crisi politica, di sicurezza e di credibilità in Europa. Attualmente, questa crisi è notevolmente aggravata dalla rinuncia ai tentativi di fermare l’avvio del gasdotto NS2. Questa decisione ha creato una minaccia politica, militare ed energetica per l’Ucraina e l’Europa centrale, aumentando il potenziale della Russia di destabilizzare la situazione della sicurezza in Europa, perpetuando le divisioni tra gli Stati membri della Nato e dell’Unione europea. Ucraina e Polonia lavoreranno insieme ai loro alleati e partner per opporsi a NS2 finché non verranno adottate soluzioni per affrontare la crisi di sicurezza creata dal gasdotto”.

Secondo Politico, Washington avrebbe intimato al presidente ucraino Zelensky di non agitarsi troppo, di non alzare i toni. Addirittura, riferisce Politico, i funzionari statunitensi avrebbero avvertito le loro controparti ucraine che criticare l’accordo “potrebbe danneggiare le relazioni bilaterali tra Washington e Kiev” e intimato al governo ucraino di non provare a coinvolgere il Congresso Usa, dove come vedremo l’accordo non è stato preso affatto bene.

A Zelensky è arrivato lo zuccherino di un invito ufficiale alla Casa Bianca per il prossimo 30 agosto. Si tratterà di convincere il tacchino che ci sono sufficienti garanzie perché il completamento e l’entrata in funzione di Nord Stream 2 non rappresenti il suo giorno del ringraziamento.

Le implicazioni geopolitiche dell’accordo Usa-Germania-Russia sono rilevantissime, ben oltre la partita energetica e la questione ucraina. C’è da un lato lo spettro di una riedizione del patto Ribbentrop-Molotov, che agita comprensibilmente le capitali dell’Europa orientale: non solo fu un patto di non aggressione tra Germania nazista e Urss, ma anche di spartizione della Polonia e dei Paesi Baltici.

E dall’altro lato si intravede l’embrione di una nuova Yalta. Di fatto, Biden ha dato il via libera alla finlandizzazione dell’Ucraina. Ma il risultato per Putin è di portata ancora più vasta. Per la prima volta dalla fine della Guerra Fredda la Russia vede aprirsi le porte dell’Europa alla propria penetrazione energetica e geopolitica, vede riconosciuta dagli Usa, sebbene obtorto collo, una proiezione di influenza che arriva nel cuore del Continente europeo, fino a Berlino.

Il via libera Usa al Nord Stream 2 va ovviamente letto attraverso lenti grandangolari, inserito cioè in uno scenario globale in cui la sfida numero uno alla leadership americana è rappresentata dalla Cina. Per contenere l’ascesa di Pechino e contrastarne le ambizioni, Washington ha la necessità di raffreddare il fronte orientale in Europa: non litigare con Berlino, anzi ottenere la sua collaborazione, e comprare almeno la “non belligerenza” della Russia. Come ha già osservato Enzo Reale su Atlantico Quotidiano, “nel manuale delle relazioni internazionali il coinvolgimento di Mosca in funzione anti-cinese è un dogma da cui è difficile affrancarsi”.

Questo approccio ha un suo fondamento. Il problema però è che il prezzo del coinvolgimento, o della “non belligerenza” di Mosca mentre Washington si concentra sulla sfida cinese, potrebbe essere troppo alto: l’inserimento di un pesante cuneo – il Nord Stream 2, appunto – proprio al centro del sistema di alleanze degli Usa.

Come dicevamo, le conseguenze del via libera al gasdotto vanno ben oltre la finlandizzazione dell’Ucraina. Sarebbe questo un prezzo tutto sommato accettabile. No, il problema è che il completamento e l’entrata in funzione del Nord Stream 2 – un progetto che rendendo l’Europa, e il suo Paese leader, più dipendenti dal gas russo, confligge con gli interessi Usa – accelera il processo, già in atto da un paio di decenni, di sganciamento strategico della Germania dall’alleato americano. Rappresenta anzi un vero e proprio salto di qualità, una dichiarazione di indipendenza strategica e di quasi neutralità della Germania fra Usa e Russia.

C’è un piccolo particolare: la Germania non è la Svizzera, non può semplicemente diventare una “Grande Svizzera” senza provocare uno smottamento geopolitico, senza trascinare tutto il Continente europeo nella sua Ostpolitik. È il centro di gravità economico e politico dell’Ue, di fatto riconosciuta anche a Washington come la potenza egemone dell’Europa continentale e mediterranea. Quindi, neutralità tedesca significherebbe neutralità dell’Europa. Equidistanza di Berlino tra Washington e Mosca significherebbe equidistanza anche dell’Ue.

Dunque, attraverso i due Nord Stream, Mosca e Berlino stanno di fatto destrutturando il legame transatlantico, un interesse strategico vitale per gli Stati Uniti, e saldando un asse russo-tedesco in grado di lanciare un’Opa sull’Europa centro-orientale – ciò che temono Varsavia e Kiev ma dovrebbero temere anche Parigi, Roma e Londra.

La classica eterogenesi dei fini: una mossa intesa a Washington per arruolare Berlino nel fronte anti-cinese e guadagnare la “non belligerenza” russa sul fronte orientale, finirebbe per avvantaggiare proprio la Cina, nella misura in cui disarticola il sistema di alleanze Usa e spinge l’Europa verso la cosiddetta “autonomia strategica”, che infatti Pechino non fa che sponsorizzare apertamente.

Biden ora dovrà convincere un Congresso estremamente ostile verso la Russia della convenienza del suo accordo con Berlino. Non sarà facile. Democratici e Repubblicani sono da sempre contrari a Nord Stream 2. Ma mentre per i primi il sentimento anti-russo è superificiale e di facciata, una maschera indossata strumentalmente per delegittimare la presidenza Trump (Obama nel 2012 accusava l’avversario Romney di essere fermo alla Guerra Fredda), nei secondi è molto più radicato.

Il senatore repubblicano Jim Risch, presidente di minoranza della Commissione Affari esteri del Senato, ha sottolineato che “non un solo membro del Congresso sostiene il completamento di questo gasdotto”. L’accordo è “pieno di promesse e garanzie”, ma offre poche opportunità per affrontare le principali minacce alla sicurezza nazionale poste da Nord Stream 2. E giustamente Risch ha notato che l’accordo è stato negoziato “senza la partecipazione e l’approvazione di importanti alleati come Ucraina e Polonia”. Il senatore Ted Cruz ha parlato di “vittoria geopolitica per Putin e catastrofe per gli Stati Uniti e i nostri alleati”, di una “resa totale” di Biden al presidente russo.

Non è per uno scherzo del destino se questo enorme regalo al Cremlino è alla fine arrivato da Biden e non da Trump, accusato per quattro anni di essere il puppet di Putin. Se solo si consideri che il Russiagate era una bufala, una totale montatura, mentre è storia che deboli con i russi, volenti o nolenti puppet di Putin, sono stati Obama e Biden.

 

Articolo pubblicato su atlanticoquotidiano.it

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