Se c’è un modo con cui Trump intende, per citare il suo slogan, rendere di nuovo grande l’America, è quello di pompare più petrolio. In campagna elettorale il tycoon e i sui collaboratori hanno ripetutamente tessuto le lodi della trivella libera e promesso di mettere nel cassetto l’agenda sull’energia pulita di Biden. Ma quanto sono fondate le promesse di The Donald sul potenziamento di un’industria fossile che stando a un approfondimento dell’Economist che qui riprendiamo funziona già ai massimi livelli? E sarà davvero possibile, in caso di vittoria del tycoon, un passo indietro rispetto alla svolta green?
La promessa di Trump sul petrolio
Trump, petrolio e gas sono praticamente sinonimi, e anche questa campagna elettorale lo ha dimostrato a suon di dichiarazioni e impegni roboranti.
La promessa più eclatante l’ha fatta a tal proposito l’ex consigliere per la Sicurezza nazionale di Trump Robert O’ Brien quando ha giurato che, in caso di vittoria repubblicana, “gli Usa potrebbero produrre milioni di barili in più al giorno”.
Colpi bassi
Si tratta teoricamente di musica per le orecchie dei petrolieri che in questi ultimi tre anni e mezzo hanno patito vari colpi bassi dall’amministrazione Biden, dal varo dell’Inflation Reduction Act che sussidia le tecnologie verdi scoraggiando l’uso dei combustibili fossili a quello di una nuova regolamentazione delle emissioni di metano fino alla messa in pausa dell’approvazione dei permessi per esportare Gnl.
Come scrive l’Economist, i petrolieri e i capitani dell’industria energetica sono fuori di sé, e denunciano attraverso l’American Petroleum Institut un “assalto regolatorio” che, nelle parole di un lobbysta citato dalla testata britannica, ha l’effetto di rendere il comparto “unwelcome”.
Ma la realtà è un’altra
Malgrado il coro lamentoso, l’industria energetica in America ha veramente poco da lamentarsi, avendo registrato sotto Biden performance da record.
Con il presidente dem la produzione complessiva di petrolio e gas ha superato i 30 milioni di barili al giorno, con un incremento di parecchi punti percentuali rispetto al livello dell’era Trump.
Biden inoltre ha approvato più licenze per la trivellazione nei suoi primi tre anni di mandato di quanti ne abbia concesse Trump nello stesso periodo di tempo.
A titolo indicativo, l’Economist segnala che l’anno scorso il presidente ha approvato un progetto petrolifero in Alaska da otto miliardi di dollari cui si opponevano strenuamente gli ambientalisti.
Infine i profitti del settore hanno una dinamica più che positiva come segnalato dal Dow Jones Oil and Gas Index che misura il valore di mercato dell’industria e che è tornato a livelli record dopo aver boccheggiato negli anni della presidenza Trump.
Fattori esterni
Ma più che alla questione di chi sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti, la dinamica di questo mercato sarà determinata secondo l’Economist prevalentemente da fattori esterni.
Per Kewin Book di ClearView Energy Partners gli investimenti saranno guidati in particolare dalla domanda aggregata a livello globale, dagli equilibri che si verranno a creare con la relativa offerta e soprattutto, aggiunge il ricercatore, dagli appetiti degli investitori.
Ecco perché per Book più che alla Casa Bianca bisognerebbe guardare al quartier generale dell’Opec su quale sia il sentiment presente e futuro del mercato dell’energia.
Bye bye energia verde?
L’Economist nutre qualche dubbio inoltre sul fatto che anche una vittoria elettorale di Trump possa porre fine alla corsa all’economia verde.
Se è vero infatti che il candidato repubblicano ha denunciato ripetutamente quella che ritiene “la nuova frode verde”, c’è chi fa notare, in questo caso Neil Auerbach dell’Hudson Sustainable Group che i benefici dei provvedimenti green assunti dall’amministrazione Biden avvantaggiano in misura preponderante i distretti in cui sono stati eletti deputati e senatori repubblicani.
Tutto come prima
La conclusione paradossale dell’Economist è che ha relativa importanza chi vincerà le elezioni di novembre perché l’economia verde ha preso ormai l’abbrivio in una corsa che sarà difficile arrestare.
Se anche Trump togliesse i sussidi, non cambierebbe una realtà che vede oggi più conveniente generare elettricità attraverso un campo eolico piuttosto che con una centrale a carbone.
I cambiamenti in questi anni sono stati tanti e tali che oltre il 90% della capacità della rete Usa sarà alimentata quest’anno senza ricorso all’energia fossile.
E poi ci sono le compagnie private che si sono pubblicamente impegnate verso l’obiettiv delle emissioni zero a prescindere da chi sia l’inquilino della Casa Bianca.