La decisione della Cina di introdurre dei controlli sulle esportazioni di alcuni elementi delle terre rare, lo scorso aprile, ha mandato in allarme la filiera automobilistica europea. Ad oggi, infatti, l’Unione europea – e non solo – è pesantemente dipendente dalla Cina per la fornitura di terre rare e dei magneti derivati, indispensabili per la manifattura di veicoli e di tecnologie per la transizione energetica, come le turbine eoliche.
LA DIPENDENZA EUROPEA DALLA CINA
“Dobbiamo ridurre la nostra dipendenza da tutti i paesi, in particolare da alcuni come la Cina”, ha dichiarato recentemente il commissario per l’Industria Stéphane Séjourné: anche perché il 98 per cento della domanda comunitaria di magneti in terre rare viene soddisfatta proprio dai cinesi.
Tradurre la volontà della Commissione nella pratica, però, è molto difficile perché Pechino controlla di fatto l’intera filiera delle terre rare – dall’estrazione della materia prima alla trasformazione in magneti, passando per la fase critica di raffinazione -, concentrando nelle sue mani circa l’80-90 per cento della capacità globale. All’industria europea, in particolare, mancano sia l’economia di scala che le competenze tecniche.
LE POTENZIALITÀ DELLA FRANCIA SULLE TERRE RARE
Il paese europeo che potrebbe contribuire di più ai piani dell’Unione per emanciparsi (parzialmente) dalla Cina è la Francia. Come ricorda il Financial Times, sul suo territorio si trovano la maggior parte dei progetti strategici europei sui minerali critici: nove su un totale di quarantasette, di cui due dedicati proprio alle terre rare. Aziende francesi come MagReesource (magneti) e la divisione del gruppo chimico belga Solvay hanno fatto sapere di aver ricevuto tantissime richieste di materiali in terre rare nelle ultime settimane, ma di non averle potute soddisfare per mancanza di capacità.
Rispetto ad altri stati membri dell’Unione, la Francia può fare leva sulle sue centrali nucleari, che forniscono elettricità pulita e a basso costo, e anche su un certo know-how.
Fino alla metà degli anni Ottanta il gruppo chimico francese Rhône-Poulenc (acquisito da Solvay nel 2011), aveva una quota del 50 per cento circa del mercato mondiale della raffinazione delle terre rare. Negli anni Ottanta e Novanta lo stabilimento di La Rochelle, sulla costa occidentale del paese, gestito da Solvay, produceva fino a 15.000 tonnellate di ossidi di terre rare all’anno. Ad aprile l’impianto ha annunciato che ricomincerà a produrre ossidi di terre rare pesanti e leggere da destinare alla produzione di magneti, utilizzando materie prime di provenienza non-cinese. L’Australia possiede vaste riserve di terre rare e potrebbe essere una fornitrice affidabile per l’Unione europea.
La startup Carester, nata nel 2019, ha l’obiettivo di avviare la produzione di ossidi di terre rare pesanti dal 2026, utilizzando sempre forniture non-cinesi. Una sussidiaria della società, chaimata Caremag, ha ricevuto a marzo un finanziamento di 216 milioni di euro da investitori giapponesi e dal governo francese per aprire un impianto di raffinazione e riciclo a Lacq, nel sud della Francia: nella lista dei futuri clienti compare la casa automobilistica Stellantis.
Nei pressi di Lacq, anche Less Common Metals – un’azienda britannica – ha in programma l’apertura di un impianto da 110 milioni di euro dedicato alla lavorazione degli ossidi di terre rare in materiali per i magneti permanenti.
MagReesource, nata da una costola del Centro nazionale della ricerca scientifica (un ente statale), punta di arrivare a produrre mille tonnellate di magneti in terre rare all’anno entro il 2027: si tratta però di un volume molto piccolo rispetto alle 16.000 tonnellate di magneti che l’Europa importa ogni anno dalla Cina.