Dopo Northvolt, l’Unione europea rischia di veder fallire anche un’altra delle sue aziende-simbolo per la transizione energetica: Stegra, startup svedese di acciaio “pulito” precedentemente nota come H2 Green Steel, è alla ricerca di nuovi finanziamenti per 1,5 miliardi di euro dopo che negli ultimi mesi il suo fabbisogno – così scrive il Financial Times, citando fonti vicine all’azienda – è triplicato. Nei giorni scorsi il consiglio di amministrazione si è riunito per discutere del rischio di insolvenza, legato all’aumento dei costi e ai ritardi nello stabilimento in fase di costruzione a Boden, nel nord della Svezia.
CHI SOSTIENE (E CHI MOLLA) STEGRA
Il parallelismo con la startup di batterie Northvolt, che lo scorso marzo ha annunciato il fallimento, è dato anche dal fatto che Stegra è stata lanciata dallo stesso gruppo di private equity svedese, Vargas. L’azienda ha raccolto 6,5 miliardi di euro da alcune delle principali famiglie europee di industriali, come gli Agnelli (Stellantis), i Maersk (Moller-Maersk) e i Wallenberg (Ericsson), oltre che da società di peso come Mercedes-Benz, Siemens e Scania. In Stegra, poi, hanno investito anche il fondo sovrano di Singapore Gic, l’azienda di private equity svedese Altor, la società di investimento francese Hy24 (focalizzata sull’idrogeno) e il fondo britannico Just Climate.
La banca d’investimento statunitense Citigroup ha fatto sapere di voler interrompere i prestiti a Stegra a causa dei timori sulle sue prospettive future; secondo il Financial Times, anche altre banche condividono queste preoccupazioni.
LA SITUAZIONE
A luglio il deficit di finanziamento di Stegra ammontava a 500 milioni di euro. Lo scenario peggiore presentato al consiglio di amministrazione la settimana scorsa, però, stimava questo deficit in 1,5 miliardi, mentre lo scenario intermedio in 1,2 miliardi. Pare che la startup stia “bruciando” circa 280 milioni al mese e, in assenza di nuovi finanziamenti, esaurirà le sue risorse in meno di due mesi.
Il deficit di finanziamento di Stegra è cresciuto non solo a causa dell’aumento dei costi e di un nuovo ritardo di tre mesi nelle operazioni, ma anche a seguito dell’internalizzazione di alcune infrastrutture che avrebbero dovute essere gestite da altri: per un esempio una ferrovia e un porto nei pressi del sito di Boden. Peraltro, la realizzazione di alcune parti dell’impianto, tra cui una linea di zincatura, è stata rinviata nel tentativo di risparmiare risorse. L’azienda, inoltre, vorrebbe esternalizzare alcuni asset legati all’energia e all’idrogeno con l’obiettivo di raccogliere fondi, ma il processo potrebbe richiedere mesi.
Le prospettive di Stegra si sono complicate anche a seguito del rifiuto del governo svedese di emettere una sovvenzione (approvata dall’Unione europea) da 150 milioni di euro. La Svezia si era già rifiutata di salvare Northvolt o di entrare nel suo capitale.
L’ACCIAIO GREEN È UN FALLIMENTO?
Quello di Stegra a Boden non è il primo progetto europeo di acciaio green in crisi, o addirittura fallito. Acciaio green è un termine ombrello che racchiude una serie di processi alternativi al ciclo in altoforno e a basse emissioni.
A giugno, per esempio, il gruppo indiano-lussemburghese ArcelorMittal – ovvero il secondo maggiore produttore di acciaio al mondo – aveva annunciato la cancellazione dei piani di conversione delle acciaierie di Brema e Eisenhuttenstadt, in Germania. Il passaggio dagli altiforni (alimentati a carbone) ai forni elettrici abbinati a impianti di riduzione diretta del ferro (alimentati a gas naturale ed eventualmente a idrogeno) è stato giudicato sconveniente nonostante gli aiuti pubblici da 1,3 miliardi di euro.
La produzione di acciaio è responsabile all’incirca del 5 per cento delle emissioni totali di gas serra dell’Unione europea e del 7 per cento di quelle globali. Il processo di riduzione diretta rilascia meno CO2 rispetto al ciclo integrale in altoforno, che si basa sul carbone coke: in teoria, sarebbe possibile produrre acciaio a emissioni zero andando ad alimentare i forni elettrici con l’elettricità generata da fonti pulite (come le rinnovabili o il nucleare) e utilizzando l’idrogeno al posto del gas naturale negli impianti di riduzione diretta. L’idrogeno cosiddetto “verde” è un combustibile prodotto con l’elettricità da fonti pulite, ma non viene utilizzato nelle industrie perché estremamente costoso.
Secondo Axel Eggert di Eurofer, l’associazione europea dell’acciaio, “in Europa non esiste il business case per l’acciaio verde”.