Ieri gli Stati Uniti hanno ristretto le esportazioni verso cinque società cinesi accusate di essere coinvolte nelle violazioni dei diritti umani degli uiguri e di altre minoranze musulmane in Cina. Secondo il dipartimento del Commercio americano, queste aziende utilizzano o traggono beneficio dal lavoro forzato.
QUALI SONO LE AZIENDE SANZIONATE
Le cinque aziende inserite nella “Entity List” del dipartimento del Commercio – la lista che raccoglie quelle società che non possono avere contatti commerciali con soggetti americani senza l’approvazione del governo – sono Hoshine Silicon Industry, Xinjiang Daqo New Energy, Xinjiang East Hope Nonferrous Metals, Xinjiang GCL New Energy Material e Xinjiang Production and Construction Corps (XPCC).
Stando al governo statunitense, queste aziende “sono implicate nelle violazioni e negli abusi dei diritti umani nell’implementazione della campagna cinese di repressione, detenzione arbitraria di massa, lavoro forzato e sorveglianza con dispositivi di alta tecnologia contro gli uiguri, i kazaki e altri membri delle minoranze musulmane” nello Xinjiang.
La Cina respinge questa ricostruzione, accusando a sua volta Washington di utilizzare un pretesto per danneggiare le industrie della regione. Le testimonianze raccolte, tuttavia, parlano di campi di detenzione e di sterilizzazione forzata delle minoranze nello Xinjiang, tra le altre cose.
COSA FA XPCC
Di XPCC – azienda legata ad un gruppo che ha una presenza molto forte nel settore agricolo dello Xinjiang, dove avvengono le violazioni dei diritti degli uiguri – se ne era già parlato lo scorso dicembre, quando gli Stati Uniti avevano bloccato le importazioni di fibra di cotone con l’accusa di lavoro forzato.
DOPPIO ATTACCO A HOSHINE SILICON INDUSTRY
L’azienda stavolta più discussa è Hoshine Silicon Industry: è nata nel 2005 e produce componenti per l’energia solare. Più nello specifico, Hoshine produce polisilicio (o silicio policristallino), un materiale cristallino necessario alla manifattura delle celle solari: funge da conduttore, permettendo di convertire i fotoni della luce in elettricità.
Oltre a restringere le esportazioni verso l’azienda, gli Stati Uniti hanno anche vietato di acquistarne il silicio mono- e policristallino.
LO XINJIANG NELLA FILIERA DELL’ENERGIA SOLARE
Hoshine opera nello Xinjiang, la regione nel nord-ovest della Cina che vale da sola quasi il 50 per cento della produzione mondiale di polisilicio. L’intera nazione detiene una quota dell’80 per cento dell’offerta globale di questo materiale.
La dipendenza dalla Cina preoccupa gli Stati Uniti, che – come molti altri paesi, inclusa l’Unione europea – dovranno aumentare le installazioni di capacità solare sul proprio territorio per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra.
L’amministrazione di Joe Biden ha annunciato di voler decarbonizzare completamente la rete elettrica americana entro il 2035, alimentandola al 100 per cento con fonti “pulite”, e anche di voler abbattere il costo dell’energia solare del 60 per cento entro i prossimi dieci anni.
ENERGIA A BASSO COSTO E LAVORO FORZATO
In Cina, lo Xinjiang viene scelto come sede delle fabbriche di polisilicio per via del basso costo dell’energia elettrica, necessaria in grandi quantità per l’alimentazione dei processi di lavorazione del materiale. Non solo: nel decennio scorso il governo locale ha attirato le società del settore attraverso programmi di sussidi e di tassazione agevolata, finendo per far diventare lo Xinjiang un anello cruciale della filiera internazionale dell’energia solare.
Hoshine – scrive il Financial Times – è il più grande produttore di polisilicio dello Xinjiang. Ha ricevuto migliaia di lavoratori per il suo stabilimento nella città di Turfan tramite lo schema governativo di “trasferimento”: ufficialmente si tratta di un’iniziativa di contrasto alla povertà, ma viene considerata una copertura per il lavoro forzato delle minoranze etniche. Sempre il Financial Times nota che le fabbriche di Hoshine nello Xinjiang sono vicine ai centri di detenzione.
GLI EFFETTI
Come riportato da Reuters, gli effetti immediati delle restrizioni imposte dal governo degli Stati Uniti potrebbero essere limitati, visto che le società cinesi sanzionate non hanno grossi contatti diretti con le aziende americane che producono wafer di silicio (ovvero dispositivi utilizzati nei pannelli solari). Hoshine, ad esempio, si rivolge principalmente al mercato domestico, anche se dice di volersi proiettare oltre e “conquistare il mondo”.
Le cose potrebbero cambiare nel caso in cui Washington decidesse di ampliare la portata del blocco sulle importazioni ai moduli solari che contengono polisilicio prodotto nello Xinjiang.
Tuttavia, anche in questo caso, le aziende cinesi che realizzano moduli potrebbero aggirare il ban rivolgendosi ai fornitori di polisilicio in altre zone della Cina, come la Mongolia Interna e lo Yunnan.