Nonostante l’accordo commerciale di principio raggiunto la settimana scorsa, che dovrebbe risolvere la controversia tra gli Stati Uniti e la Cina sulle forniture di terre rare, l’amministrazione di Donald Trump non ha intenzione di rinunciare alla pressione economica sulla rivale. Al di là dei controlli sulle esportazioni di microchip e tecnologie associate, che rimarranno in vigore, Washington starebbe limitando la vendita di etano – un idrocarburo derivato dal gas naturale e utilizzato nella produzione della plastica – alle società petrolchimiche cinesi.
IL COMMERCIO DI ETANO TRA GLI STATI UNITI E LA CINA
Negli ultimi anni, parallelamente alla grande crescita dell’industria oil & gas, che ha reso il paese il primo produttore di greggio e gas naturale a livello globale, negli Stati Uniti è cresciuta molto anche la produzione di etano: nel 2024 ha raggiunto il valore record di 2,8 milioni di barili al giorno, quasi il triplo rispetto al 2014. La capacità in eccesso rispetto al fabbisogno del mercato interno è stata assorbita principalmente dalla Cina e dal suo vasto settore petrolchimico. La Cina è la maggiore produttrice di plastiche al mondo e anche la prima importatrice di petrolio.
Reuters ha scritto che Enterprise Product Partners, uno dei principali operatori negli Stati Uniti di terminali per gli idrocarburi liquidi, ha ricevuto il 29 maggio scorso una notifica del dipartimento del Commercio circa la necessità di ottenere una licenza per l’esportazione di etano e butano in Cina: si tratterebbe di una precauzione per l'”inaccettabile rischio” che la Cina possa utilizzare questi prodotti per scopi militari.
L’IMPATTO DELLE RESTRIZIONI SUGLI ESPORTATORI AMERICANI…
La restrizione commerciale potrebbe arrecare un serio danno agli affari delle aziende energetiche americane: basti pensare, ad esempio, che l’anno scorso circa il 40 per cento circa dei volumi di etano gestiti dal terminal principale di Enterprise sono stati spediti proprio in Cina. Nessun altro paese è in grado di assorbire l’aumento delle esportazioni statunitensi di questo idrocarburo: ci sarebbero, in prospettiva, anche l’India e la Thailandia, ma i loro mercati devono ancora svilupparsi e quindi una sostituzione immediata del commercio con la Cina è impossibile.
… E SUI PRODUTTORI PETROLCHIMICI CINESI
D’altra parte, la Cina ha bisogno di etano al punto da averlo esentato dai dazi al 125 per cento sulle importazioni statunitensi: nel 2024 l’etano importato dalle aziende cinesi era pressoché tutto di provenienza americana. Se i produttori petrolchimici cinesi non potranno più accedere all’etano statunitense, questo finirà per comprimere i loro margini di profitto perché dovranno rivolgersi a fornitori più costosi oppure a materie prime dal prezzo più alto, come la nafta.
MA QUAL È IL RISCHIO CON LA PLASTICA CINESE?
Non è chiaro, invece, in cosa consiste quell'”inaccettabile rischio” di cui parla il dipartimento del Commercio, al di là del fatto che la plastica – ovviamente – è presente anche nei prodotti utilizzati dalle forze armate.
IL SURPLUS DI ETANO È UN RISCHIO ANCHE PER I PETROLIERI AMERICANI
Se l’amministrazione Trump dovesse fermare le esportazioni di etano in Cina, la decisione potrebbe avere ripercussioni negativi anche sulle società petrolifere statunitensi: l’aumento delle scorte di etano non smaltibili causerebbe infatti una crescita delle spese di estrazione – il gas naturale è formato da metano, da etano e da altri idrocarburi -, che a sua volta porterebbe a una riduzione dei livelli di produzione. Una minore produzione di gas, inoltre, significherebbe meno esportazioni di gas liquefatto: un esito del genere entrerebbe in contraddizione con i piani della Casa Bianca per la energy dominance, cioè il dominio degli Stati Uniti sui mercati internazionali dei combustibili fossili.