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La Cina inonderà l’Europa di plastica a prezzi stracciati?

Dopo l'acciaio, i pannelli solari e le auto elettriche, la plastica esportata dalla Cina - abbondante e a basso prezzo - potrebbe minacciare la tenuta dell'industria petrolchimica europea. Tutti i dettagli.

Dopo l’acciaio, i pannelli solari e i veicoli elettrici, l’Europa potrebbe doversi preparare a rispondere anche all’aumento delle esportazioni di plastica della Cina, dove la fiacchezza della domanda interna spingerà probabilmente le aziende petrolchimiche a riversare all’estero la loro produzione sovrabbondante: Bloomberg ha parlato di questa situazione come di una “nuova sfida commerciale per il resto del mondo”.

Charlie Vest, esperto di politica industriale cinese presso Rhodium Group, ha spiegato all’agenzia che si tratta “di un altro esempio, dopo l’acciaio e i pannelli solari, in cui gli squilibri strutturali della Cina si stanno chiaramente riversando sui mercati globali”.

LA CRESCITA DELLA PETROLCHIMICA IN CINA

Nell’ultimo decennio nella costa orientale del paese sono stati costruiti molti impianti petrolchimici con lo scopo sia di soddisfare la richiesta nazionale di plastica, sia di aiutare le società di raffinazione a mitigare l’impatto del calo della domanda di carburanti fossili, data la diffusione delle automobili elettriche. Questa voluminosa capacità industriale si è poi scontrata con la pandemia e con la fiacchezza della ripresa economica, che ha fatto restringere i margini di profitto; ciononostante, le aziende del settore hanno continuato a produrre, puntando ad accrescere le loro quote di mercato rispetto alle concorrenti.

Secondo Michal Meidan dell’Oxford Institute for Energy Studies, “l’eccesso di capacità nel settore chimico in Cina sembra essere un rischio sottovalutato. L’industria occidentale sottovaluta sia il volume che la qualità della sovraccapacità che potrebbe emergere”. Kelly Cui di Wood Mackenzie ha parlato di un “surplus strutturale in Asia” e del “persistere di margini di profitti bassi o negativi”.

SQUILIBRI TRA DOMANDA E OFFERTA

Le analisi dell’Agenzia internazionale dell’energia dicono che dal 2019 la Cina ha costruito così tanti stabilimenti petrolchimici – la cui funzione è di trasformare il greggio e il gas in materiali come l’etilene e il propilene, utilizzati a loro volta nella produzione di plastiche – che entro la fine di quest’anno il paese avrà una capacità produttiva pari a quelle dell’Europa, del Giappone e della Corea del sud messe insieme.

Dietro a questa crescita del numero degli impianti c’è il fatto che le strutture più piccole, a differenza delle grandi raffinerie, non richiedono l’approvazione delle autorità centrali, quindi i vari governi locali hanno incoraggiato l’apertura di siti petrolchimici con l’intento di promuovere gli investimenti e l’occupazione, facendo affidamento sulla domanda di polipropilene dalle aziende che realizzano imballaggi, componenti per auto e apparecchi elettrici. “Ma mentre l’offerta affluiva, la domanda interna vacillava”, ha scritto Bloomberg.

La Cina produce molti più prodotti petrolchimici di quanti ne abbia bisogno. Grafico via Bloomberg.

Di conseguenza, diversi impianti petrolchimici cinesi stanno operando al 70 per cento della loro capacità o anche al 50 per cento, anche se il loro numero complessivo sta aumentando: tra il 2024 e il 2025 dovrebbero entrare in funzione altri nove stabilimenti per la produzione di propilene dal gas.

Lo scorso marzo la Cina è diventata un’esportatrice netta di polipropilene; era già un’esportatrice netta di PVC e PET, due materiali plastici largamente utilizzati.

UN RISCHIO PER L’EUROPA

La sovraccapacità cinese nella produzione di plastica rappresenta un rischio industriale per l’Europa. Secondo Plastics Europe, tra il 2012 e il 2022 gli impianti europei sono passati dal produrre il 20 per cento della plastica mondiale al 14 per cento; nello stesso periodo la quota della Cina è cresciuta dal 23 al 32 per cento.

A causa di uno squilibrio di competitività rispetto alla Cina e agli Stati Uniti, dove i costi di produzione sono molto più bassi, l’Europa sta importando le plastiche che consuma, anziché produrle da sé.

La sovrabbondanza sul mercato di etilene per la plastica potrebbe inoltre disincentivare il riciclo, visti i prezzi inferiori del materiale vergine.

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