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Emissioni

Perché l’Italia ha votato la riforma Ue sulle emissioni

Il voto favorevole del governo italiano sulla riforma del sistema Ets per lo scambio di emissioni ha destato qualche sorpresa. L'articolo di Sergio Giraldo.

Ratificata a Bruxelles in via definitiva la riforma del sistema ETS, relativa allo scambio di emissioni di CO2, già approvata dal Parlamento europeo la settimana scorsa. Il Consiglio europeo dedicato ad Agricoltura e Pesca tenutosi ha infatti espresso voto favorevole sulle cinque direttive che fanno parte del pacchetto di revisione, che ne allarga l’ambito di applicazione e alza gli obiettivi di decarbonizzazione. Il nuovo obiettivo è ora una riduzione del 62% delle emissioni entro il 2030 rispetto ai livelli del 2005. Vengono poi aggiunti al sistema ETS anche i settori dei trasporti marittimi e su strada, nonché le emissioni legate al riscaldamento delle abitazioni. Viene istituito un fondo sociale che darà sostegno finanziario a chi non potrà permettersi i costi di questa riforma ed infine si inaugura il nuovo sistema di dazi sulla CO2 importata, il meccanismo CBAM (Carbon Border Adjustment Mechanism).

IL VOTO A FAVORE DELL’ITALIA

L’Italia, per mano del vice rappresentante permanente del Governo presso l’Unione europea, ha espresso voto favorevole a tutto il pacchetto. Nella specifica votazione sulla modifica della direttiva ETS (2003/87/EC) sul totale dei 27 paesi, solo Polonia e Ungheria hanno votato contro, mentre si sono astenuti Belgio e Bulgaria.

Il voto favorevole del governo italiano su questo provvedimento, che rappresenta il cuore del pacchetto, ha destato qualche sorpresa, anche all’interno delle componenti parlamentari di Bruxelles che sostengono la maggioranza. Nella votazione del 18 aprile al Parlamento europeo sulla modifica della direttiva ETS, infatti, due partiti importanti che sorreggono il governo, Fratelli d’Italia e Lega, avevano espresso voto negativo. È pur vero che un voto contrario italiano nel Consiglio non avrebbe cambiato nulla in termini di sostanza, tuttavia questa incongruenza salta all’occhio.

Fonti vicine alla maggioranza fanno sapere che la riforma dell’ETS è stata sostenuta dal Governo, che ha giudicato positivamente la possibilità di un rinvio di un anno dell’entrata in vigore delle nuove norme che riguardano case e trasporto su strada nel caso di prezzi alti dell’energia. Inoltre, il Governo ha apprezzato il fatto che gli introiti del nuovo ETS vengano ora destinati agli Stati membri e al nuovo Fondo sociale per il clima (65 miliardi di euro in sette anni). Con la nuova direttiva, l’Italia sarebbe destinataria di circa 7 miliardi di euro, il che farebbe del nostro Paese il terzo beneficiario dei fondi. In sintesi, la clausola di rinvio in caso di prezzi alti dell’energia e una nuova allocazione dei contributi sarebbero stati giudicati dal Governo elementi favorevoli tali da portare a un voto favorevole nel Consiglio.

I miglioramenti apportati al testo però non erano stati giudicati sufficienti da Fratelli d’Italia e Lega durante il voto parlamentare della settimana scorsa nella seduta plenaria di Strasburgo, tanto che le due forze politiche avevano votato contro, mentre Forza Italia si era astenuta. Trapela dunque dalle forze politiche di maggioranza presenti a Bruxelles un certo malcontento per quello che appare essere una sorta di pilota automatico inserito, allorquando in certe sedi il Governo è chiamato ad esprimere un voto che pare non tenere conto delle posizioni politiche già espresse in sede europea dalle forze che lo sostengono.

PIÙ TASSE SU GAS E BENZINA

Di fatto, la nuova normativa si tradurrà in una maggiore tassazione su gas e benzina, gravando ancora di più sul portafoglio delle famiglie italiane. La Commissione prevede di inserire una nuova accisa su benzina e diesel di 10-15 centesimi al litro, corrispondenti a un prezzo delle quote di emissioni di CO2 di 45 euro a tonnellata, la metà del prezzo attuale. L’aumento sulla bolletta del gas da riscaldamento potrebbe arrivare fino a 260 euro all’anno. Ma anche le imprese subiranno conseguenze. Assocarta, ad esempio, ha fatto i conti e ha stimato in 680 milioni di euro i costi aggiuntivi tra il 2026 e il 2030 per il settore. Costi che le imprese del settore dovranno sostenere, senza che però questo influisca in alcun modo sulla reale diminuzione delle emissioni.

COSA CAMBIA PER LE QUOTE DI EMISSIONI

La riforma infatti prevede la cancellazione delle assegnazioni gratuite di quote di emissione e un più rapido calo del numero di quote messe ad asta, con un evidente effetto di rialzo dei prezzi delle quote stesse. La direttiva non tiene conto della efficienza già alta raggiunta dal settore della carta, dove è molto diffusa la cogenerazione che però utilizza gas metano, un idrocarburo che a Bruxelles è visto come il diavolo. Le cartiere sostengono di non avere reali alternative all’uso della cogenerazione e dunque del metano, data la grande quantità di energia necessaria. Con l’idrogeno che ancora rappresenta un miraggio e che ha ancora costi proibitivi, le imprese energivore saranno semplicemente costrette a pagare più tasse, perdendo in competitività soprattutto rispetto alla concorrenza dei paesi extra-Ue, non soggette a questa imposizione.

L’invasiva mole normativa legata al Green Deal, insomma, continua la sua marcia inesorabile, destinata ad aumentare l’inflazione e costringendo cittadini e imprese a sostenere i costi di una transizione sempre meno sostenibile.

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