skip to Main Content

Rame

Perché il rame ecciterà l’inflazione

La concentrazione dell'industria del rame creerà le condizioni per lo sviluppo di prezzi alti di un metallo critico per la transizione ecologica. L'analisi di Sergio Giraldo

L’estrazione del rame, elemento imprescindibile nella transizione ecologica, rischia di attraversare nel prossimo futuro un periodo difficile. A causa dell’attuale congiuntura, infatti, un calo dei prezzi del metallo potrebbe avere un pessimo effetto su una serie di compagnie minerarie medie e piccole, costringendole a sospendere le attività. Ciò avrebbe una serie di conseguenze dirette non propriamente favorevoli. Vediamo perché.

Ci troviamo di fronte ad uno dei tanti paradossi delle politiche avviate per contrastare il cambiamento climatico secondo i dettami dell’IPCC e dell’IEA (Intergovernmental Panel on Climate Change e International Energy Agency, le principali autorità climatiche ed energetiche mondiali).

IL PREZZO E LA DOMANDA DI RAME

Dopo essere cresciuto tra il luglio del 2022 al gennaio di quest’anno, da 3,25 $ a 4,25 $ la libbra sul mercato americano Comex, negli ultimi sei mesi il prezzo del metallo rosso è calato vistosamente sino a 3,6$, per risalire lentamente sino ai 3,9$ di questi giorni. La domanda, infatti, al momento è debole e non molto sostenuta, a causa dei timori su una imminente recessione, che sopravanzano le necessità di investimenti dettate dal Green Deal mondiale.

Se l’economia rallenta o addirittura smette di crescere, il prezzo del rame può scendere ancora, e a quel punto per le compagnie minerarie medie e piccole non ci sarà scampo. Queste, infatti, stanno già rallentando le attività estrattive, poiché il prezzo attuale per molti non giustifica l’attività, considerati gli aumenti dei costi di estrazione. Ma questo, alla lunga, comporterà per le aziende medie e piccole la necessità di raccogliere capitali per sopravvivere. In caso contrario, molti di questi soggetti chiuderanno i battenti. Ecco, dunque, che i prezzi bassi del rame favoriscono i grandi operatori, le compagnie minerarie multinazionali. Queste possono in tal modo acquisire gli operatori in difficoltà rafforzando la loro posizione.

Considerati i tempi lunghi necessari allo sviluppo di nuove miniere, acquisire società con licenze già operative è un’ottima maniera, per i grandi soggetti, per crescere ancora di più. La ricerca, da parte delle compagnie minerarie, di giacimenti con minerale di alta qualità e con vene ricche da sfruttare è diventata costosa. Un periodo di prezzi bassi permetterebbe ai big del settore di fare shopping di piccoli e medi soggetti che, messi alle strette dalla mancanza di liquidità, possiedono nel portafoglio concessioni interessanti.

Il calo dei prezzi del rame da gennaio è stato determinato dalla fine delle attese di una ripresa forte della Cina, dopo l’incerto 2022. Con una domanda cinese non brillante, considerato che proprio la Cina rappresenta la parte dominante della domanda (oltre 12 milioni di tonnellate all’anno, circa la metà della domanda mondiale), i prezzi hanno preso a scivolare verso il basso, spinti anche dai timori di un allargamento della guerra, dai tassi di interesse alti e dai timori di una gelata sull’economia.

Sulla media ponderata, nel primo trimestre 2023, il prezzo di break-even del rame (quello con cui si coprono i costi) è attorno ai 3,55 $ la libbra, pari a circa 7.800 $ alla tonnellata. Sotto questo prezzo di mercato, si portano i libri in tribunale. Oppure, si vende al miglior offerente tra le grandi compagnie. Questo significa che il settore dell’estrazione del rame va verso una fase di concentrazione tra operatori dell’offerta, cosa che nel medio termine potrebbe determinare un potere di mercato molto forte rispetto alla domanda. Una domanda che prima o poi ricomincerà a tirare, quando le urgenze comandate dalla trasformazione ecologica, dal Green Deal europeo a quelli americano e cinese, faranno di nuovo salire i prezzi.

LA CRESCITA DELLA DOMANDA

Secondo i calcoli della IEA, la domanda annua di rame dal 2025 dovrà crescere sino ad arrivare a 40 milioni di tonnellate all’anno, pari a circa il doppio della domanda attuale, e poi a 60 milioni l’anno. Difficilmente l’offerta riuscirà a tenere il passo di una crescita così esplosiva, se non, forse, con un drammatico e rapido aumento dei prezzi che renda profittevoli giacimenti che oggi non lo sono. Sembra difficile, comunque, che ci possa essere rame per tutti, dal 2025 in avanti, anche considerando le già ottime performance del riciclo mondiale.

CHI FESTEGGIA E CHI PIANGERÀ

In sintesi, i prezzi bassi attuali del rame favoriscono i grandi operatori, che potranno acquisire giacimenti già attivi, avendo economie di scala favorevoli. La concentrazione del settore che ne seguirà favorirà la creazione di condizioni per lo sviluppo di prezzi alti, considerato che la domanda del metallo per la transizione ecologica, se si vogliono rispettare i piani e le relative scadenze, diventerà esplosiva. Si stanno dunque mettendo in fila alcuni elementi che favoriranno il sorgere di un’inflazione persistente e strutturale. Il rame, peraltro, non è l’unico metallo per cui valgono questi ragionamenti. Vi sono anche il nichel, l’alluminio ed altri ancora. La turbo-domanda innescata dai vari green deal non potrà che riversarsi sui prezzi delle materie prime, a meno di salti tecnologici oggi non prevedibili, o a meno di ritardi e allungamenti dei tempi della transizione.

Ciò che risulta, alla fine, sono due dati preoccupanti. Il primo è che la gran parte dello sforzo necessario in termini di investimenti ricadrà sui paesi emergenti e in via di sviluppo, e non si vede come ciò possa accadere senza uno spropositato aiuto finanziario occidentale di cui sin qui non vi è traccia. L’altro è che, nei paesi sviluppati, chi sosterrà gli investimenti vorrà vederli fruttare, a meno che questi siano ripagati in qualche modo dagli Stati. Per cui, in ogni caso, prepariamoci ad aprire il portafoglio.

Back To Top