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Quanto costerà allo Stato l’ingresso di Invitalia nell’ex Ilva di Arcelor Mittal

L'ingresso di Invitalia (controllata dal ministero dell'Economia) in AmInvest di Arcelor Mittal. Le parole del premier Conte. I commenti di Bentivogli e Calenda. E i calcoli di Bricco del Sole 24 Ore

 

“Ci sono alcuni interventi mirati laddove lo Stato deve cercare di tutelare e proteggere asset definiti strategici”. Lo ha affermato oggi in conferenza stampa a Bruxelles il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, quando gli è stato chiesto, citando i dossier UniCredit-Mps, Ilva e Alitalia, se la mano pubblica nell’economia stia tornando forte e se lo Stato ci sta prendendo gusto.

“Non è che ci stiamo prendendo gusto con l’intervento dello Stato nell’economia – ha spiegato il capo del Governo – ma tutti i Paesi, con una pandemia del genere, con una recessione cosi’ pesante, sono costretti anche a programmare degli investimenti e quindi anche l’intervento della mano pubblica, soprattutto in alcuni asset strategici. Non possiamo permetterci di perderli, dobbiamo intervenire”.
Peraltro, Conte ha esteso il concetto: “Gia’ lo abbiamo fatto con liquidità alle imprese, capitalizzazione, rafforzamento, consolidamento degli organismi produttivi, del nostro tessuto, le pmi, in questo momento di particolare difficoltà”.

IL DOSSIER EX ILVA CON ARCELOR

Il presidente del Consiglio parlava in particolare del dossier ex Ilva, con l’ingresso di Invitalia (controllata dal ministero dell’Economia) in AmInvest di Arcelor Mittal. Ieri c’è stato il via libera all’accordo di investimento tra Arcelor Mittal Holding Srl, Arcelor Mittal Sa e Invitalia per una nuova fase di sviluppo ecosostenibile dell’Ilva di Taranto, secondo le comunicazioni ufficiali. L’intesa è stata firmata dall’amministratore delegato di Invitalia e da Arcelor Mittal.

CHE COSA PREVEDE L’ACCORDO TRA INVITALIA E ARCELOR MITTAL

In particolare, l’accordo prevede un aumento di capitale di AmInvest Co. Italy Spa (la società in cui Arcelor Mittal ha già investito 1,8 miliardi di euro e che è affittuaria dei rami di azienda di Ilva in Amministrazione Straordinaria) per 400 milioni di Euro, che darà a Invitalia il 50% dei diritti di voto della società.

I TEMPI DI INVITALIA CON ARCELOR

A maggio del 2022 è programmato, poi, un secondo aumento di capitale, che sarà sottoscritto fino a 680 milioni da parte di Invitalia e fino a 70 milioni di parte di Arcelor Mittal.

LA QUOTA DI INVITALIA

Al termine dell’operazione Invitalia sarà l’azionista di maggioranza con il 60% del capitale della società, avendo Arcelor Mittal il 40%.

I PIANI CON ARCELOR

L’accordo contiene, poi, un articolato piano di investimenti ambientali e industriali. Sarà tra l’altro avviato il processo di decarbonizzazione dello stabilimento, con l’attivazione di un forno elettrico capace di produrre fino a 2,5 milioni di tonnellate l’anno.

GLI OBIETTIVI DEL GOVERNO

L’obiettivo del piano di investimenti nel Mezzogiorno d’Italia è di trasformare l’ex Ilva di Taranto nel più grande impianto di produzione di acciaio “green” in Europa.L’accordo prevede, infine, il completo assorbimento, nell’arco del piano, dei 10.700 lavoratori impegnati nello stabilimento.

I CALCOLI DEL SOLE 24 ORE

In un anno e mezzo l’intervento “costerà 1,1 miliardi di denaro pubblico, contro i 70 milioni dei Mittal che, dopo essere scampati al tintinnio delle manette della Procura di Milano, hanno rimediato a un buco clamoroso: su 1,8 miliardi di euro di capitale iniziale a disposizione, in Italia hanno bruciato 1,2 miliardi”, ha scritto Paolo Bricco del Sole 24 Ore, aggiungendo: “Arcelor Mittal avrà un suo ulteriore beneficio: deconsolidare la società partecipata dai conti del gruppo”.

IL TWEET DI BENTIVOGLI, EX SEGRETARIO FIM-CISL

IL COMMENTO DI CALENDA, EX MINISTRO DELLO SVILUPPO ECONOMICO

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ESTRATTO DELL’ANALISI DI PAOLO BRICCO SUL SOLE 24 ORE DELL’11 DICEMBRE 2020:

Il fantasma della Finsider e lo spettro della Gepi. L’importante è che la nuova Ilva non divenga la vecchia Finsider. E che il suo azionista pubblico, Invitalia, non si trasformi nella nuova Gepi. Nessun pregiudizio antistatalista. Questo Paese è stato fatto anche dall’Iri. L’Iri buona, però. Non l’Iri cattiva. Bisogna ricordarlo: in diverse fasi della storia l’azionista pubblico è stato un prestatore di risorse e un socio di ultima istanza guidato da un dirigismo miope e disattento alla finanza di impresa, sensibile alle lusinghe della politica e privo delle competenze manageriali con cui gestire situazioni industriali complicate. E, questa, è una situazione industriale (e di finanza di impresa) maledettamente complicata.

L’ingresso del capitale pubblico nella società ha evitato due derive: la prima (pacifica) sarebbe stata una statalizzazione immediata e totale dell’Ilva, qualora Arcelor Mittal avesse esercitato il diritto a uscire corrispondendo mezzo miliardo di euro; la seconda (bellicosa) sarebbe consistita in una causa miliardaria contro lo Stato italiano di Arcelor Mittal. Il problema di questa stabilizzazione è, però, doppio. La dirigenza di questo Paese si è massacrata sull’Ilva.

Ora che cosa può fare il pubblico?

La prima è contribuire, da subito, alla conduzione manageriale della nuova Ilva. Invitalia ha al suo interno le risorse industriali e tecnologiche, finanziarie e gestionali? No. Dunque, è bene che le formi o che le selezioni sul mercato. Soprattutto perché, nei patti con Arcelor Mittal, fra un anno e mezzo la guida dell’acciaieria spetterà a un dirigente espresso dallo “Stato Proprietario”. La seconda cosa che può fare è evitare voli pindarici. La politica – non pochi fra i Cinque Stelle e nel Partito Democratico – , il sindacato più populista e molti amministratori locali accarezzano l’idea che questa operazione possa fungere da aggregatore di altre operazioni: ad esempio, per risolvere la critica questione di Piombino. Quasi che, oggi, servisse una nuova Finsider, la holding che controllava l’acciaio di Stato e le sue molte propaggini aziendali. Si sbagliano. Servono imprese che funzionino. Le scorciatoie portano ai burroni.

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