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Tunisia

Le proposte di Grillo a Draghi? Modestissime

Che cosa ha suggerito Beppe Grillo dal suo blog al presidente del Consiglio incaricato Mario Draghi. Il commento di Gianfranco Polillo

 

È un Grillo addomesticato quello che ha incontrato Mario Draghi. Messa da parte la teoria del vaffa, anche lui a Canossa, dopo essere stato costretto a riconoscere quanto non solo utopiche, ma nocive, erano le sue teorie originali. Quelle stesse che Alessandro Di Battista, il neo-giapponese della seconda guerra mondiale, declina ancora con furore. Ricordando le scelte passate dell’ex direttore generale del Tesoro: “Privatizzazioni, svendita del patrimonio industriale pubblico italiano, contratti derivati”. E “da Governatore di Banca d’Italia quando diede l’Ok all’acquisto di Antonveneta da parte di Mps ad un valore folle di mercato”.

Tutto inutile. Il processo di conversione dei 5 stelle è stato tortuoso, ma ormai sembra concluso. Per la strada, forse, perderanno qualche pezzo, com’era già avvenuto in passato. Ma è difficile tornare alle origini. Specie dopo aver praticato la via del governo ed aver potuto gustare il profumo del potere. Molti di loro, soprattutto coloro che non saranno rieletti – quasi i due terzi, secondo le proiezioni dei sondaggi – si morderanno le mani. Cedendo alle pulsioni del momento, avevano avallato la scelta improvvida della riduzione secca del numero dei parlamentari. Una sorta di suicidio collettivo, odio puro contro sé stessi, considerata l’assenza di qualsiasi altra riforma in grado di assicurare una maggiore efficienza della macchina parlamentare.

Sull’onda di questi fallimenti – qual è l’eredità del Conte uno e del Conte due? – lo stesso Beppe Grillo sembra aver perso ogni capacità immaginifica. Modesto il contributo offerto dalle pagine del suo blog, se messo in relazione alla drammatica situazione del Paese, rispetto al quale le responsabilità del Movimento, al di là della pandemia, sono evidenti. Il rovello è sempre lo stesso: l’ambiente. La novità: il privilegio da concedere alle società no profit. Variante minor della vecchia concezione, seconda la quale, il profitto altro non è che sterco del diavolo.

Nel dettaglio. La proposta principale é la creazione di un Ministero per la transizione ecologica, che incorpori gli attuali ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo economico. Sull’esempio di quanto fatto in Francia e Spagna. Al neonato Ministero dovrebbe essere poi attribuita la gestione della politica energetica. Quest’ultima, in ogni caso, anche a legislazione vigente, dovrebbe essere attribuita al Ministero dell’Ambiente. E caratterizzarsi per una riduzione dei sussidi ambientalmente nocivi, per almeno 20 miliardi.

Si dovrebbe quindi giungere alla creazione di un Consiglio superiore per lo sviluppo sostenibile – una sorta di Cnel, se capiamo bene – “con pochi membri, in numero dispari tra 5 e 9, composto di personalità di altissimo profilo scientifico, nominate dal Presidente della Repubblica per un lungo mandato (5 –10 anni). Una specie di ‘Corte suprema per lo sviluppo sostenibile’. Con valore consultivo, ma con grande autorevolezza e intensa comunicazione pubblica”.

Il secondo pilastro delle proposte è tutto concentrato sulla necessità di ridurre il carico fiscale solo sulle società benefit. Con lo scopo di estenderne il perimetro, favorendo la trasformazione di chi già opera sul mercato. Grillo cita, in proposito, Eni, Enel e Barilla. Ricordando che “Danone è una ‘società benefit’”. Ergo: spingiamo le altre, con la mordicchia fiscale, a divenire tali.

Come si può vedere non siamo proprio sul terreno dell’”immaginazione al potere”: vecchio slogan dei sessantottini. C’è solo da sottolineare, prima di entrare meglio nel merito, la loro eccentricità rispetto alle reali urgenze del Paese. Che sono quelle più volte acclarate: piano vaccinale, squilibri sociali (specie in vista della fine del blocco dei licenziamenti), accelerazione del ritmo di sviluppo. Tutto ciò significa, forse, sottovalutare la necessità del Green Deal, più volte sollecitato dalla Commissione europea?

Due le perplessità. La prima è, per così dire, fattuale. Nel confronto europeo, l’Italia può vantare una posizione non disprezzabile. Nei comparti strategici della riduzione delle emissioni o delle energie rinnovabili i progressi non solo sono stati consistenti, ma superiori, in genere, a quelli degli altri partner europei. Naturalmente molto resta da fare, in vista delle scadenze future, ma non sembrano essere questi i settori, in cui l’Italia è più sofferente. Ben più ampio è lo scarto sul fronte dell’occupazione, della formazione, dell’innovazione e via dicendo. Se c’é bisogno di intervenire – cosa indubbia – forse sono altri i settori prioritari.

Ma su un elemento di fondo è necessario intendersi. La locuzione “sviluppo sostenibile” non può divenire uno slogan. O, peggio, la via traversa per riproporre il tema della “decrescita felice”. Il sottoprodotto di questa pandemia, che ha contribuito non poco a migliorare le condizioni del Pianeta. Equivoco che permane nella visione dei 5 stelle. Non solo da un punto grammaticale e semiotico, ma sostanziale, dei due termini il primo è il dominante. Se c’è sviluppo, questo può essere qualificato dal punto di vista della sostenibilità. Ma se il primo viene meno, com’è capitato in Italia, da templi immemorabile, il secondo non può che decadere. E gettare in un baratro la vita dell’intero Paese.

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