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Petrolio

Benzina, perché il problema è nella raffinazione

Non c'è speculazione dietro all'aumento dei prezzi della benzina e del gasolio: il rischio maggiore per i prezzi è rappresentato dal settore della raffinazione. L'articolo di Sergio Giraldo.

Basterebbe guardare i numeri per dissolvere il mito della speculazione sui prezzi della benzina: a fronte di un rincaro delle accise di 18 centesimi al litro dal 1° gennaio, i rincari medi alla pompa sono stati di 16,8 centesimi, secondo l’ultima rilevazione ufficiale del 9 gennaio. Invece, una volta partita la solfa mediatica su furbetti e speculatori, il governo si è fatto prendere da un affannoso quanto ingiustificato zelo riparatorio, inventando un nuovo aggravio burocratico per i distributori e attivando controlli sul territorio in cerca di qualche rialzo dei prezzi che sia al contempo anche un illecito.

IL COSTO INDUSTRIALE DELLA BENZINA ALLA POMPA

A numeri attuali, il costo industriale della benzina alla pompa è pari a 0,75685 euro al litro, cioè 756,85 euro per 1.000 litri. A sua volta, esso è composto dal margine del distributore (pari a 209 € per 1.000 litri, secondo i dati UNEM, pari all’11,5% del prezzo finale) e dal costo del prodotto (548 € per 1.000 litri, pari al 30% circa del prezzo finale). È su questa ultima voce che influiscono diversi elementi. In primis il cambio euro/dollaro, visto che i prodotti raffinati sono quotati in dollari, poi il costo del petrolio greggio e quello dei noli marittimi. Ognuno di questi elementi ha un ruolo nella determinazione del prezzo del prodotto finale, assieme alla situazione delle scorte, che rappresenta un altro fattore che influenza il prezzo. In condizioni di domanda alta e scorte basse, come avviene oggi, il prezzo tende al rialzo e viceversa.

LA CRISI DEL SETTORE DELLA RAFFINAZIONE

Ma è soprattutto l’ultima componente di costo, cioè il segmento della raffinazione, a rappresentare oggi il rischio maggiore parlando di prezzi di diesel e benzina. La raffinazione è un business a sé, che può avere periodi di sovracapacità o, come capita oggi, di capacità produttiva ridotta rispetto alla domanda.

Oggi, il diesel all’ingrosso costa più della benzina (767 € contro 548 € per 1.000 litri), perché la domanda non è diminuita, mentre l’offerta di prodotto raffinato è in difficoltà. In Europa, infatti, il settore delle raffinerie è stato molto colpito da chiusure e disinvestimenti, che ne hanno ridotto la capacità produttiva, soprattutto a seguito delle politiche green e dei lockdown del 2020. Inoltre, le scorte sono ai minimi negli USA, in Asia ed anche in Europa, dove si trovano ai livelli molto bassi che si registrarono nel 2008.

Il mercato si è portato avanti e inizia a prezzare la missione impossibile che l’Unione europea si è data, ovvero sostituire integralmente il gasolio importato dalla Russia a partire dal 5 febbraio, data in cui scatterà l’embargo sui prodotti petroliferi.

L’Unione europea ha un fabbisogno di gasolio pari a circa 4,8 milioni di barili al giorno (bbl/g) e il 12% circa di questo quantitativo è direttamente importato dalla Russia. L’embargo costringerà l’Ue, tra meno di un mese, a reperire sul mercato circa 600.000 bbl/g di gasolio. Non è un caso che negli ultimi due mesi l’Ue abbia fatto incetta di gasolio russo, riportando in alto le importazioni che nei mesi di novembre e dicembre hanno toccato quantitativi record, pari a circa 800.000 bbl/g.

COSA CAMBIERÀ CON L’EMBARGO AI PRODOTTI PETROLIFERI RUSSI

Difficile trovare un momento peggiore per avviare un embargo di questo tipo. Il deficit di offerta di distillati medi già presente strutturalmente a livello mondiale obbligherà l’Ue ad entrare in aspra competizione con il resto del mondo per accaparrarsi i quantitativi che le servono. È infatti difficile che la Russia riesca in breve tempo a dirottare i prodotti che prima esportava in Ue verso altri mercati. Almeno nei primi mesi, il taglio alle forniture russe ridurrà l’offerta mondiale e questo significa che i prezzi del gasolio dovranno salire. Le nuove capacità di raffinazione in Asia e in Medio Oriente non saranno in grado di produrre a regime prima di qualche mese.

Difficile anche che l’Europa riesca da sé a ricostituire in breve tempo una capacità di raffinazione adeguata: troppa ne servirebbe, e sarebbero necessari tempo e denaro. Ma quale privato investirebbe oggi in una raffineria, sapendo che il Green deal europeo nel giro di pochi anni spazzerebbe via il suo investimento? I raffinatori europei, tra l’altro, sono soggetti al pagamento delle quote di CO2 secondo il sistema europeo ETS, per la parte che eccede le allocazioni gratuite, cosa che fa aumentare i costi. Un raffinatore indiano non ha questo problema.

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