Tra i rischi principali si evidenziano la riduzione delle importazioni da parte delle economie che sono già maggiormente sotto pressione, la contrazione degli investimenti pubblici con effetti sulla crescita e sul catch-up verso una maggiore sostenibilità economica, la possibilità di eventi di breach of contract e probabili restrizioni valutarie.
Come effetti collaterali di queste misure, è probabile un aumento della violenza politica nei paesi più che tra paesi con un aumento dell’instabilità politica, soprattutto per quei produttori alle prese con dinamiche di successione al vertice – Russia e Arabia Saudita in primis.
La Russia, che ha fissato per legge un livello di breakeven fiscale intorno ai 40-45 USD/b, dovrà ad esempio confrontarsi con i cambiamenti istituzionali in vista della fine del mandato di Putin, prevista per il 2024. La riforma costituzionale in corso, che permetterà di azzerare i mandati a partire dalla prossima elezione presidenziale, è soggetta a un referendum, previsto in aprile, mentre nel 2021 dovrebbero svolgersi le elezioni politiche che determineranno la composizione della Duma che dovrà gestire questo passaggio. Si prevede pertanto un aumento della spesa da parte del Cremlino per politiche redistributive e di crescita, che potranno facilmente derogare al limite di legge. In Arabia Saudita, invece, il calo del valore di borsa di Saudi Aramco successivo al crollo di prezzo del 9 marzo e il tentativo di golpe all’interno della famiglia reale denunciato pochi giorni prima potrebbero essere sintomi di un malessere più esteso all’interno dell’apparato di governo. Entrambi i “campioni” regionali dispongono comunque di buffer adeguati a fronteggiare un deterioramento del quadro finanziario anche nel lungo periodo, mentre diverse economie collegate potrebbero subire il ciclo in modo più significativo.
Il contagio raggiungerà facilmente i paesi circostanti che sono tipicamente influenzati dall’andamento delle economie russa e saudita e dalle rimesse degli expat che vi lavorano. Gli ultimi anni hanno mostrato come siano difficilmente sostenibili prezzi al di sotto dei 50 USD/b per un periodo superiore all’anno e come uno scenario del genere determini in ogni caso strascichi pesanti non solo sul settore ma sulle economie di diversi paesi emergenti, sulle valute e sui rispettivi sistemi bancari. Da Nursultan (Astana) l’impulso a modificare il budget è partito immediatamente, anche in considerazione delle crisi precedenti a seguito del calo di prezzo del petrolio, e il 9 marzo il Presidente kazako Tokayev ha ordinato ai ministri di ridurre la spesa per far fronte alla riduzione delle entrate e alle imprese statali di convertire parte dei ricavi in valuta per contenere la svalutazione del tenge. Effetti secondari ma per nulla trascurabili sono poi attesi sui settori bancari, poiché gli istituti sono generalmente esposti nei confronti delle compagnie nazionali. Nel caso del Kazakistan, il governo ha dimostrato un supporto al sistema con misure ad hoc (consolidamento tra istituti con massicci interventi di ripianamento delle perdite, che rimane un’opzione sul tavolo anche in questa fase) diversamente da quanto accaduto ad esempio in Azerbaigian nel 2016, con il fallimento della prima banca del Paese. Potranno essere ulteriormente rimandate, infine, quelle privatizzazioni a lungo attese sia nel settore bancario sia in quello energetico in genere, in attesa che i prezzi tornino su livelli accettabili.
L’effetto della propagazione di Covid-19 e della spaccatura all’interno dell’Opec+ rappresentano inoltre uno shock temporaneo ancorché significativo in termini di prezzo. Diversi analisti assumono come scenario base il mantenimento delle divergenze tra Russia e Arabia Saudita e prevedono una media 2020 intorno ai valori del 2016 (43-45 USD/b), quando l’accordo Opec+ non era in vigore (fu raggiunto a dicembre) e i paesi dell’Organizzazione avevano approcci differenti sui tagli alla produzione.
Le variazioni rispetto a questo scenario rimangono nell’ordine di ±10 USD/b circa a seconda della gravità della situazione tra il caso peggiore (30-35 USD/b) e quello migliore in cui si ricompongono le divergenze tra Russia e Arabia Saudita (50-55 USD/b). Il prossimo incontro ufficiale dei membri Opec (eventualmente allargato alla Russia e agli altri componenti Opec+) è in calendario per giugno, ma sono sempre possibili negoziazioni intermedie.
Uno scenario estremo (e quindi fortemente improbabile) si verificherebbe qualora i principali produttori volessero approfittare della situazione per uno scontro all’ultimo sangue in cui vendere petrolio sottocosto per un periodo prolungato. A questo potrebbe aggiungersi che diverse economie emergenti hanno impegnato parte della produzione domestica per il rimborso di finanziamenti esteri in natura, ad esempio su opere infrastrutturali e impianti – forniture legate quindi alla già scarsa liquidità, che difficilmente possono essere sostituite con denaro in un momento di crisi e rappresentano forme di approvvigionamento a lungo termine nel mercato. Queste dinamiche renderebbero percorribile, ancorché con una probabilità molto ridotta ed effetti deflagranti per diverse economie, uno scenario al di sotto dei 30 USD/b.
Come già accaduto in occasione del crollo dei prezzi nel corso del periodo 2014-2016, entrambi i fenomeni, Covid-19 e spaccatura del cartello Opec+, spingono al ribasso le quotazioni del greggio e fungeranno da acceleratore delle dinamiche strutturali in corso. Se il settore potrà trovare, come ha sempre fatto, una via d’uscita e continuerà a essere fondamentale per l’economia globale ancora a lungo, le conseguenze sulla salute di diversi paesi produttori: i tempi di ripresa per queste economie potrebbero essere lunghi e richiedere aggiustamenti significativi nel loro stile di vita. Meglio attrezzarsi e coprirsi bene.