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Petrolio, i giochi geopolitici di Russia, Arabia, Usa, Iran e Turchia

L'analisi di Raffaele Perfetto

 

Il mancato accordo di marzo tra Russia e Sauditi ha avuto ripercussioni sull’industria petrolifera americana. Apparentemente i Russi non avrebbero avuto motivi per far saltare quel meccanismo stabilizzante del prezzo che era in corso. Sul fronte geopolitico il loro impegno in Siria ha avuto successo.

Da fine 2015 hanno guadagnato basi navali e l’accesso allo spazio aereo siriano. Hanno supportato Assad che dal 2016 al 2018 ha guadagnato terreno e restato al potere. La Russia quindi ha guadagnato da un lato l’accesso al Mediterraneo orientale (leggasi partita gas) e dall’altro lo spazio aereo siriano. A fine febbraio 2020 poco prima del meeting Opec+ la Russia viene accusata da Ankara di essere coinvolta in un air strike siriano contro le truppe turche. A queste accuse i russi hanno risposto lamentando che in realtà è stata Ankara ad aver schierato senza aver “citofonato” la loro posizione. Tensione che sale, non si raggiungeva tale livello da quando un jet da combattimento russo vicino al Confine siriano nel 2015 fu abbattuto dai turchi…

Ad inizio marzo 2020 Erdogan era a Mosca per incontrare Putin. Tre giorni prima che i Russi incontrassero i sauditi per parlare del prezzo del petrolio. Sauditi e turchi non vanno molto d’accordo nonostante siano entrambi sunniti ma la Russia dialoga con entrambi.

Le tensioni Russia Turchia apparentemente si spostano ora in un nuovo scenario teatro di scontri: Libia.

Secondo quanto riportato dal Wall Street Journal alcuni funzionari libici avrebbero identificato nei paramilitari russi del gruppo Wagner, una società collegata al Cremlino, per il quasi continuo bombardamento di Tripoli. Affermano inoltre che a maggio il governo russo sempre attraverso il gruppo Wagner, abbia espanso il suo supporto militare per le operazioni di Haftar. Mosca nega. In una dichiarazione al Wall Street Journal, il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha dichiarato: “Non abbiamo alcuna informazione sul gruppo che citate o sulle sue attività in Libia, nonché in altri paesi”.

La Turchia ha quindi appesantito il suo sostegno al governo di Tripoli. Le truppe governative che utilizzano unità di difesa aerea fornite dalla Turchia oltre ai droni e al supporto dell’intelligence dell’esercito turco hanno respinto l’avanzata di Haftar riprendendo il controllo di una base aerea fondamentale secondo il governo libico.

La Turchia ha l’obiettivo di proteggere i propri interessi commerciali in Libia e di ostacolare le potenze rivali nel Mediterraneo orientale. Si tratta dei giacimenti di gas del Mediterraneo orientale. Sotto la mappa proposta a inizio 2020 per la cooperazione Libico-Turca di una zona economica esclusiva tra i due Paesi.

 

In un contesto di tale incertezza la liberazione della nostra connazionale Silvia Romano in Somalia fa riflettere. Una delle prime immagini la ritrae con un giubbotto in dotazione ai militari turchi, evidenziando il ruolo di questi ultimi in questa vicenda. D’altronde la Somalia, in uno schema che già visto in Libia, è già un teatro di confronto tra diverse potenze mediorientali (ne ho parlato qui su Start Magazine).

In Libia la trama si infittisce sempre più. Secondo una nota del 21 Maggio di Agenzia Nova: due voli della compagnia aerea privata siriana “Cham Wings” giunti lo scorso 20 maggio a Bengasi, di cui uno proveniente da Teheran avrebbe fatto scalo a Damasco. Aggiunge inoltre l’agenzia che L’Iran è avversario di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, i principali sponsor del generale Khalifa Haftar, comandante dell’Lna, per tanto non è chiaro il ruolo di Teheran nell’operazione.

Parlando di “stranezze aeree” vale la pena menzionare che il 19 Maggio si legge sul Wall Street Journal che Il volo Etihad Airways 9607 è atterrato all’aeroporto internazionale Ben Gurion di Tel Aviv con 14 tonnellate di aiuti medici a favore dei palestinesi per far fronte alla pandemia… la geopolitica del respiratore… così è stata definita da alcuni esperti e analisti. Si tratta del primo volo diretto riconosciuto pubblicamente dalla capitale Abu Dhabi ad Israele, una pietra miliare nelle relazioni tra due nazioni del Medio Oriente senza legami diplomatici formali.

IRAN

Il Generale Soleimani leader militare e massima carica iraniana viene ucciso dagli Stati Uniti il 3 gennaio 2020 in un attacco mirato all’aeroporto internazionale di Baghdad.

Prima di arrivare a questo, nell’area del Golfo si assiste ad un crescendo di tensioni: una serie di incidenti a petroliere iniziato praticamente da Maggio 2019. Da ricordare che da Aprile 2019 i Pasdran – i guardiani della rivoluzione erano stati dichiarati dagli USA organizzazione terroristica. A questo va aggiunto tutto il discorso fatto sulle sanzioni USA verso Iran.

Ma il momento culmine della tensione, prima dell’uccisione di Soleimani è il 14 Settembre 2019. Le raffinerie di Abqaiq della Saudi Aramco vengono colpite duramente: gli Stati Uniti accusano l’Iran. I ribelli houthi nello Yemen all’epoca ne rivendicarono la responsabilità. Il prezzo sale del 20% intraday poi recupera. Una brutta aria nel Golfo…

Solo due giorni dopo l’attacco alle raffinerie viene costituita la International Maritime Security Construct-IMSC. È guidata dagli Stati Uniti con la partecipazione di Albania, Arabia Saudita, Australia, Bahrein, EAU e Regno Unito. Gli “altri” non stanno a guardare e nell’area per la prima volta a fine dicembre del 2019 avviene l’esercitazione navale nel Golfo dell’Oman “Marine Security Belt”. Presenti: le marine di Russia, Cina ed Iran.

Lo scorso 7 maggio tuttavia cambia qualcosa. Il Wall Street Journal è tra i primi a diffondere la notizia che gli Stati Uniti stiano rimuovendo i sistemi antimissili Patriot dall’Arabia Saudita considerando riduzioni ad altre capacità militari, segnando così la fine, per ora, di un accumulo militare su larga scala per contrastare l’Iran, secondo i funzionari statunitensi. Tali sistemi furono schierati proprio per proteggere gli impianti sauditi.

Casualmente dopo 4 giorni, l’11 maggio si apprende la notizia che l’Arabia Saudita avrebbe deciso di intensificare volontariamente i tagli alla produzione di petrolio a sostegno del prezzo. Avverranno a partire da giugno e sono stati motivati poiché i bassi prezzi del petrolio stanno causando un enorme dolore al bilancio del regno e la domanda globale rimane debole a causa dei blocchi per contenere la pandemia.

D’altronde il mancato accordo tra sauditi e russi che aveva colpito l’industria petrolifera americana, Ted Cruz senatore del Texas aveva ammonito quasi un mese fa “Se vuoi comportarti come il nostro nemico, ti tratteremo come il nostro nemico”. Messaggio chiaro…

(2.continua; la prima parte si può leggere qui)

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