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Petrolio, ecco perché la Cina è una garanzia per il patto Opec+. Report Cer

Analisi e scenari dopo l'accordo Opec Plus nel rapporto Energia del Cer a cura di Demostenes Floros.

 

Si rafforza la cooperazione fra Arabia Saudita e Federazione Russa nel settore petrolifero, con la Cina che sta assicurando, al momento, un livello crescente di domanda. La spinta al rialzo sul prezzo del petrolio resta tuttavia contenuta, anche per la comune volontà di marginalizzare il fracking statunitense che infatti stanno cedendo il passo. Ma cosa sta accadendo esattamente sui mercati mondiali del greggio?

L’analisi contenuta nell’ultimo rapporto del Centro Europa Ricerche (Cer) sull’energia parte dall’accordo Opec Plus entrato in vigore ufficialmente il 1 maggio 2020 per ridurre la produzione, contribuendo a mantenere o innalzare i prezzi del petrolio. “

Questa disposizione, oltre ad aver favorito l’incremento dei prezzi del barile, ha un significato geopolitico ben preciso: la Federazione Russa e il principale produttore OPEC, l’Arabia Saudita – seppur tra evidenti contraddizioni – stanno rafforzando la propria cooperazione in seno alla neo Organizzazione a dimostrazione che una vera e propria guerra del petrolio tra i principali esportatori di greggio al mondo non è mai realmente esistita”, si legge nel report a cura di Demostenes Floros.

LA NOVITA’ DI OPEC PLUS

In tale contesto, evidenzia però il Cer, se da un lato “la crisi da Covid-19 ha costretto russi e sauditi a risedersi velocemente attorno al medesimo tavolo, soprattutto dopo il fallimento dell’OPEC plus meeting avvenuto il 5-6 marzo 2020”, dall’altro “l’impressione è che esista anche un secondo ‘nemico comune’: il fracking Nord-americano”. Infatti, evidenzia Cer nell’analisi “di fatto, russi e sauditi sono parimenti consapevoli che lo squilibrio presente nel mercato petrolifero sin dal 2017 è il prodotto della politica energetica Usa, la quale ha costantemente approfittato dei tagli dell’OPEC plus – implementati al fine di sostenere i prezzi – onde guadagnare quote di mercato”.

IL SIGNIFICATO GEOPOLITICO DELLA DOMANDA CINESE

In questo contesto si inserisce la domanda cinese che rappresenta la vera valvola di sfogo del mercato: “La crescita costante della domanda petrolifera cinese, la quale si approvvigiona anzitutto di greggio saudita e russo, è un elemento di garanzia per l’intera Opec plus – ha spiegato Cer -. In base alle cifre fornite dal China’s National Bureau of Statistics il 16 luglio 2020, il Pil cinese è previsto in crescita del 3,2% nel II trimestre 2020, dopo avere segnato un -6,8% nel I trimestre dell’anno in corso (il peggior dato dal 1992)”. Ciò ha permesso alle raffinerie cinesi di processare un ammontare record di 14.080.000 b/g a giugno rispetto ai 13.100.000 b/g a maggio e una media di 12.800.000 b/g nei primi 4 mesi del 2020” garantendo un rimbalzo della domanda di petrolio, grazie “ai bassissimi prezzi del barile”.

Infatti, a luglio 2020, Gazprom Neft, la terza compagnia petrolifera della Russia facente parte del gruppo Gazprom, “ha inviato il suo primo carico di 144.000 tonnellate di petrolio estratto nell’Artico – dalla città nord-occidentale di Murmansk alla Cina (porto di Yantai, sul mare di Bohai) – attraverso la rotta del Mare del Nord in 47 giorni30. In precedenza, quest’ultima era stata utilizzata solamente in direzione Ovest”. Mentre il 13 agosto, il Ministro dell’Energia della Federazione Russa, Alexander Novak, ha dichiarato: “Penso che la nostra pianificazione a lungo termine abbia dimostrato che sono state prese le decisioni giuste e che il mercato ora è più o meno stabilizzato. Non ci resta che attendere e verificare se la previsione pubblicata dalla Bank of America il 16 agosto, secondo la quale il barile Brent North Sea toccherà i 60 dollari/b entro la prima metà del 2021, sarà corretta”.

PRODUZIONE USA IN CALO

Proprio la condotta di Opec plus sta influenzando in qualche modo la situazione americana: “Secondo le statistiche stilate dal Drilling Productivity Report divulgato dall’Energy Information Administration il 17 agosto 2020, la produzione di greggio non convenzionale USA è prevista diminuire di 19.000 b/g, per complessivi 7.558.000 b/g, a settembre 2020. L’output di greggio statunitense, dopo il precedente picco di 9.627.000 b/g raggiunto ad aprile 2015, è decresciuto fino al minimo di 8.428.000 b/g toccato il 1° luglio 2016. Dopodiché, esso ha ripreso ad aumentare fino al record stimato di 13.100.000 b/g toccato il 13 marzo 2020, per poi crollare a 10.500.000 b/g il 12 giugno 2020, recuperando 500.000 b/g dal 19 giugno al 3 luglio 2020. Dal 7 agosto 2020, esso è nuovamente diminuita a 10.700.000 b/g, mentre dal 21 agosto si situa a 10,800,000 b/g (stime settimanali)”, si legge su Cer.

In questo quadro, “conformemente alle statistiche fornite dall’Energy Information Administration, l’output di greggio Usa calerà di 990.000 b/g nel 2020 per una media di 11.260.000 b/g. A luglio, la stessa agenzia aveva previsto un calo di 620.000 b/g nel 2020 – si legge nell’analisi di Cer -. Secondo le statistiche divulgate da Baker Hughes il 28 agosto 2020, le 254 trivelle attualmente attive negli Stati Uniti, di cui 180 (70,9%) sono petrolifere e 72 gasiere (28,3%), più 2 miste (0,8%), risultano essere 4 in meno rispetto a quelle rilevate il 10 luglio 2020, in calo di 662 rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, il minimo dal 1940, cioè da quando Baker Hughes fornisce statistiche sulle perforazioni”.

NESSUNA INVERSIONE DI TENDENZA IN VISTA NEGLI USA

“È importante evidenziare che – per la prima volta da gennaio 2020 – le trivelle petrolifere USA sono aumentate nella settimana 14-21 agosto (+11). Quest’ultimo dato non è tuttavia sufficiente al fine di indicare una chiara inversione di tendenza – ha spiegato Cer -. Il 12 agosto, Rystad Energy aveva infatti sostenuto che l’attività di perforazione negli Stati Uniti non si sarebbe ripresa nell’anno in corso visto l’andamento dei permessi di perforazione, un indicatore sempre più affidabile dei futuri livelli di attività. A luglio, quest’ultimi sono infatti scesi al minimo da 10 anni a questa parte con solo 454 assegnazioni. ‘Agli attuali prezzi, ciò segnala una riduzione dell’attività di trivellazione per tutto il resto del 2020. A meno che i prezzi del WTI non raggiungano i 50 dollari/b nel corso delle prossime settimane, è improbabile un rimbalzo dell’attività degli impianti di perforazione prima di giugno 2021’, ha affermato Artem Abramov, capo dello Shale Research di Rystad Energy”.

Anche secondo David Messler, analista di Oilprice.com, ciò non avverrà “perché le società impegnate nel fracking, tenuto conto dei prezzi che potrebbe verosimilmente raggiungere il barile, dovranno tenere conto della necessità di ripagare i debiti in scadenza, oltre a dovere aumentare i dividendi per gli azionisti. A maggio, le importazioni di greggio degli Stati Uniti d’America sono state 6.870.000 b/g, in aumento di 567.000 b/g rispetto ad aprile44. Nei primi 5 mesi dell’anno corrente, la media delle importazioni Usa mensili è stata di 6.166.000 b/g, a fronte dei 6.795.000 b/g nel 2019, in diminuzione rispetto ai 7.768.000 b/g nel 2018 e ai 7.969.000 b/g nel 2017”.

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