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Petrolio, ecco le cineserie dell’Arabia Saudita

Secondo il Wsj, l'Arabia Saudita sta prendendo in considerazione un piano per accettare lo yuan cinese invece di dollari Usa per regolare le vendite di petrolio greggio a Pechino. L'articolo di Giuseppe Gagliano

 

L’Arabia Saudita sta prendendo in considerazione un piano per accettare lo yuan cinese invece di dollari Usa per regolare le vendite di petrolio greggio a Pechino, ha riferito il Wall Street Journal.
Secondo quanto riferito, il Regno sta discutendo attivamente con la Cina per valutare almeno una parte delle sue vendite di petrolio alla seconda economia mondiale in yuan.

Quale potrebbe essere la motivazione che ha indotto il regno Saudita a prendere in considerazione una possibilità di questo genere?

Forse il malcontento dei sauditi per i negoziati nucleari di Washington con l’Iran e il rifiuto della Casa Bianca di sostenere le operazioni militari del paese nello Yemen? Il ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan? Sono certamente risposte più che plausibili.

D’altra parte le dinamiche a livello geopolitico sono cambiate e le relazioni con gli Stati Uniti sono mutate.

Non dobbiamo dimenticare che la Cina rimane il più grande importatore di greggio del mondo e offre quindi molti incentivi di natura economica al Regno Saudita. Se una proposta di questo genere dovesse effettivamente concretizzarsi è chiaro che avrebbe un impatto enorme sull’egemonia del dollaro nel mercato internazionale della energia. Inoltre influenzerebbe l’economia saudita visto che il il riyal è ancorato al dollaro Usa. Vediamo alcuni numeri: l’80% delle transizioni globale di greggio è valutata in dollari e dagli anni 70 i sauditi si sono serviti proprio del dollaro per il commercio di petrolio in cambio di sicurezza in ambito militare da parte gli Stati Uniti.

Ad ogni modo il fatto che l’Arabia Saudita abbia preso in considerazione una proposta di questo genere sta a dimostrare che le partnership poste in essere dalla Cina stanno funzionando.

Inoltre questa proposta saudita rappresenta certamente un altro esempio di de-dollarizzazione intrapresa ormai da diverse nazioni in tutto il mondo a cominciare da quelle poste in essere da Putin che ha cercato di ridurre le partecipazione della Russia in dollari e ha acquistato più oro e altre valute estere. In questo contesto non dimentichiamoci che la Russia ha un sistema di transizione bancaria alternativo a quello a monopolio americano e cioè il Sistema per il trasferimento dei messaggi finanziari (SPFS) mentre la Cina ha il sistema di pagamento interbancario transfrontaliero (CIPS), che è in costante crescita nella regione. Infatti ha attirato 30 istituzioni finanziarie giapponesi, 31 banche dall’Africa e due dozzine di società russe. L’anno scorso, l’utilizzo di CIPS ha visto un aumento del 75% rispetto al 2020.

Un altro esempio di progressiva de-dollari di azione è fornita dall’India che ha già un accordo di scambio rupia-rublo per la vendita di armi russe all’India con lo scopo di aggirare le sanzioni imposte dal Countering America’s Adversaries Through Sanctions Act (CAATSA).

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