L’Opec+, il gruppo che riunisce alcuni dei principali paesi esportatori di petrolio, ha deciso di alzare i livelli produttivi per il mese di novembre di altri 137.000 barili al giorno, la stessa quantità già prevista per ottobre.
ESTATE CONTRO INVERNO
Si tratta di un aumento tutto sommato modesto, se paragonato agli incrementi fissati per i mesi di agosto e settembre scorsi (550.000 barili al giorno in più) oppure per giugno e luglio (411.000). Una cosa, però, è produrre di più in estate, un periodo dell’anno generalmente caratterizzato da una domanda petrolifera forte (negli Stati Uniti si parla di driving season, “stagione della guida”, che fa salire i consumi di carburante); un’altra cosa, invece, sarà sostenere un aumento dell’output in un periodo fiacco come il quarto trimestre dell’anno, stando alle previsioni.
COME VA IL PREZZO DEL PETROLIO
Per il periodo conclusivo del 2025 gli analisti prevedono una situazione di eccesso di offerta petrolifera, dovuta non solo al rallentamento della domanda ma anche alla crescita della produzione negli Stati Uniti (già i primi al mondo), alla parziale ripresa delle esportazioni dal Venezuela e alla riattivazione dei flussi di greggio dal Kurdistan iracheno alla Turchia. Per l’inizio del 2026, invece, l’Agenzia internazionale dell’energia ha parlato di un surplus da record per via della diminuzione della domanda della Cina, da un lato, e dall’altro dall’aumento produttivo nelle Americhe, in particolare negli Stati Uniti, in Canada, in Brasile e in Guyana.
Venerdì scorso i prezzi del Brent, il contratto petrolifero basato sul mare del Nord, erano scesi sotto i 65 dollari al barile; oggi invece, alla notizia di un incremento dell’Opec+ più modesto del previsto, sono risaliti leggermente, a 65,3 dollari. Il West Texas Intermediate, ossia il riferimento statunitense, è a 61,1 dollari. Sono prezzi ben al di sotto del picco di 82 dollari al barile raggiunto lo scorso gennaio, ma al di sopra dei 60 dollari toccati a maggio.
LE DIVERGENZE NELL’OPEC+ TRA RUSSIA E ARABIA SAUDITA
Dietro all’aumento della produzione nonostante il contesto poco ricettivo c’è la volontà dell’Opec+ di recuperare quote di mercato – specialmente nei confronti dei petrolieri shale americani – dopo un lungo periodo di tagli volontari, iniziato nel 2023.
Pare peraltro che l’Arabia Saudita, leader di fatto dell’organizzazione, avrebbe preferito aumentare di parecchio la produzione dell’Opec+, anche di 411.000-548.000 barili al giorno in più, proprio per velocizzare il recupero del market share. Riad può contare su un’ampia capacità inutilizzata (spare capacity, in gergo) che le consente di accrescere rapidamente l’output; inoltre, può contare su bassi costi di produzione, anche se ha bisogno di alti prezzi di vendita del petrolio – sopra i 90 dollari al barile – per coprire la spesa pubblica e finanziare il costoso piano di trasformazione economica voluto dal principe ereditario Mohammed bin Salman.
D’altra parte, la Russia, seconda nazione più influente nell’Opec+, spingeva in senso contrario per ottenere un aumento più contenuto, come poi è stato deciso. A causa delle difficoltà nell’aumentare la produzione, legate alle sanzioni internazionali, Mosca voleva evitare che crescita eccessiva dell’offerta provocasse un calo drastico dei prezzi del petrolio, con effetti negativi sulle sue entrate.
Non solo la Russia, ma anche altri paesi membri dell’Opec+ come il Kazakistan, l’Algeria e l’Oman non hanno tanto margine per accrescere la produzione. I nuovi obiettivi per novembre, dunque, ricadranno probabilmente in larga parte sull’Arabia Saudita.