Se da un lato le major hanno mantenuto la rotta sulla dismissione di asset upstream maturi e hanno utilizzato le vendite di asset come uno degli strumenti chiave per ridurre le emissioni, dall’altro le acquisizioni di quest’anno evidenziano il loro approccio cauto nel perseguire mega operazioni upstream. Una nuova analisi del think tank energetico Rystad sembra far trasparire positività rispetto alle mosse delle grandi aziende del settore oil & gas nel corso di questo anno.
Eppure, non sempre l’impegno green risulta essere effettivo.
TUTTI I DATI DEL 2023 DELLE MAJOR DELL’OIL & GAS
“Nella più grande acquisizione di quest’anno da parte di una major – scrive Rystad, Chevron ha comprato PDC Energy per 7,6 miliardi di dollari a maggio; si stima che gli asset di PDC abbiano un’intensità di emissioni di circa 9 chilogrammi di anidride carbonica (CO2) per boe, il che rappresenta un ulteriore passo avanti nell’obiettivo di Chevron di ridurre l’intensità delle emissioni di CO2 a 24 chilogrammi di CO2 per boe entro il 2028″.
Il think tank ricorda quindi l’acquisto per quasi cinque miliardi da parte di ExxonMobil di Denbury, una società specializzata nella cattura, nell’utilizzo e nello stoccaggio del carbonio. Ma vengono citate poi le operazioni di Eni e Vaar Energi con la “presa” di quasi tutte le attività di Neptune Energy per 4,9 miliardi di dollari. Operazione che, specifica Rystad, ha consentito al cane a sei zampe “di avere un mix di gas al 60% entro il 2030 e ha portato 5-8 milioni di tonnellate all’anno (tpa) di potenziale di stoccaggio di CO2, rispetto all’obiettivo di Eni di stoccare 30 milioni di tpa di volume di carbonio entro il 2030”.
Insomma, tanti movimenti, tante operazioni come non accadeva da otto anni, secondo il think tank. “Se si concretizzerà la potenziale acquisizione di Pioneer Natural Resources da parte di ExxonMobil”. C’è stata anche la dismissione da parte di TotalEnergies, sempre quest’anno, delle sue attività nelle sabbie bituminose canadesi a ConocoPhillips e Suncor Energy per circa 4,1 miliardi di dollari. E potrebbe esserci quella di Chevron, “di cui si vocifera, di dismettere le sue attività upstream in Congo-Brazzaville”.
CHI SI IMPEGNA (PARE) SULLA RIDUZIONE DI EMISSIONI
E, dunque, tutti questi movimenti, fanno ben sperare riguardo l’obiettivo finale, cioè la riduzione delle emissioni? Rystad Energy risponde affermativamente: “l’intensità media delle emissioni delle acquisizioni delle major è diminuita di quasi il 42%, passando da 24 chilogrammi di CO2 per boe nel 2019 a 14 chilogrammi nel 2023”.
“Quest’anno – conclude il think tank – segna un cambiamento nelle strategie di fusione e acquisizione delle major, che si orientano verso acquisizioni nette nell’upstream. Tuttavia, con una forte attenzione alla riduzione dell’intensità complessiva delle emissioni, questa svolta evidenzia l’impegno del gruppo di pari nel bilanciare l’esigenza di sicurezza energetica con la necessità di abbracciare la transizione energetica”.
DIAMO FIDUCIA ALLE MAJOR OIL AND GAS?
Ci dobbiamo fidare di questo cambio di rotta? Nel 2022, grazie al boom dei prezzi, le compagnie registrarono profitti record. Un flusso di cassa di 834 miliardi di dollari, un aumento del 70% rispetto ai profitti di 493 miliardi di dollari registrati nel 2021. Anche se, faceva notare Rystad, “nonostante la robusta crescita della liquidità derivante dalle operazioni, non si prevede che gli investimenti crescano in modo significativo quest’anno, arrivando fino a 286 miliardi di dollari dai 258 miliardi del 2021”.
I dubbi sulle attività delle major sono anche recenti e non appartengono solo al passato. Come raccontato sulla nostra agenzia di stampa a maggio, le major europee hanno realizzato “profitti eccezionali” sulle negoziazioni nel primo trimestre 2023. Nessuno, però, conosce davvero i numeri esatti, perché nessuna compagnia petrolifera ha rivelato i profitti sul trading. Gli studi dimostrano che gran parte degli investimenti delle Big Oil nelle operazioni di energia rinnovabile sono destinati agli sforzi di pubbliche relazioni per promuovere le attività ecologiche che stanno svolgendo, piuttosto che espandere notevolmente il loro portafoglio di energia pulita, ha rilevato Greenpeace.
Secondo un suo rapporto, nel 2022 solo lo 0,3% della produzione di dodici dei principali produttori europei di combustibili fossili proveniva da fonti di energia rinnovabile. Lo scorso anno, circa il 7,3% (cioè 7,1 miliardi di dollari) degli investimenti delle aziende sondate è andato verso le energie rinnovabili, mentre ben 88,15 miliardi di dollari di finanziamenti sono stati messi sul tavolo per operazioni sui combustibili fossili. Per cambiare la rotta ci vuole ancora un po’, forse.
Pubblicato su Energia Oltre