La Carbon capture and storage (Ccs) sta suscitando una serie di critiche, anche rispetto a Ravenna CCS, il primo progetto di cattura e stoccaggio della CO2 in Italia. Sotto accusa, spesso, la tecnologia in quanto tale, un alleato importante per la decarbonizzazione di diversi settori industriali, come riconosciuto anche da IEA, IPCC, IRENA, UE e ONU. La Ccs interessa davvero a pochi? Quanto è matura, efficiente ed economicamente sostenibile questa tecnologia? Quali sono i rischi? Tutte le risposte.
LA CCS E’ UN BLUFF?
61 aziende, 172 siti industriali. 27 milioni di tonnellate di CO2 all’anno al 2030 e 34 milioni di tonnellate al 2040. Sono gli esiti dell’indagine sul potenziale mercato della Ccs condotta da Eni e Snam, che ha raccolto manifestazioni di interesse non vincolante. Numeri che dimostrano l’interesse nel progetto di Ravenna da parte dei comparti industriali che puntano a decarbonizzare cicli produttivi energivori e spesso non elettrificabili. Infatti, il mercato della Ccs è assorbito per circa un terzo da impianti per la produzione di energia. Tuttavia, la quota restante comprende varie tipologie di industrie hard to abate (cemento, calce, chimica, raffinazione, acciaio, vetro, carta, ceramica).
Per non parlare poi del potenziale del settore della termovalorizzazione dei rifiuti. Il progetto di Eni e Snam è stato riconosciuto di comune interesse europeo, così come quello di Hera e Saipem pochi giorni fa.
QUANTO E’ MATURA LA CCS?
Guardando al presente, quanto è matura la tecnologia di cattura e stoccaggio di carbonio? Attualmente sono 50 i progetti di Ccs di taglia industriale operativi nel mondo, secondo l’ultimo Status Report (2024) del Global CCS Institute. 3 di questi sono dedicati in particolare a trasporto e/o stoccaggio, 44 sono già in fase di realizzazione. Il dato più significativo, però, è che oltre 600 progetti (+60% rispetto all’anno scorso) sono in fase di sviluppo. Numeri che sembrano suggerire che la tecnologia Ccs è ormai matura e sicura, tanto da essere raccomandata da IEA, IPCC, IRENA, UE e ONU.
Una tecnologia che contribuirà in maniera importante a raggiungere gli obiettivi dell’industrial carbon management strategy (2024) della Commissione Europea. Target che ammontano a 50 Mtpa annui al 2030, 280 Mtpa al 2040 e 450 Mtpa al 2050.
CCS, È SOSTENIBILE ECONOMICAMENTE?
La vita utile delle infrastrutture di cattura e stoccaggio di carbonio esistenti, pari a 25-50 anni, permette di comprendere pienamente, in prospettiva, il potenziale futuro di questa tecnologia, per cui la domanda tende a superare l’offerta. E al di là delle critiche riguardo la sostenibilità economica della CCS, nei prossimi anni innovazione tecnologica ed economie di scale contribuiranno a determinare una forte riduzione dei costi per i progetti di CCS. Gli incentivi avranno un ruolo determinante nella riduzione dei CAPEX, così come successo già per il fotovoltaico, portando benefici anche maggiori secondo le stime.
Infatti, il delta riportato dal report IEEFA tra i costi CCS (100-200 €/t circa) e l’ETS non appare incolmabile. Anzi, si chiuderà tra il 2040 e il 2050 grazie all’incremento ETS e all’abbassamento dei costi della filiera CCS. In particolare, nello scenario IEA al 2030 l’ETS è dato a 140 €/t, permettendo così di pareggiare i costi dei settori/contesti più aggredibili. Già al 2040, poi, l’ETS salirà a 176€/t. Inoltre, un dato da non sottovalutare è che emettere CO2 in atmosfera costerà sempre di più.
NUOVE NORME PER LA CCS
Il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica sta lavorando a uno studio per la definizione del quadro regolatorio per normare il mercato e i servizi legati a questa tecnologia. Il tavolo aperto al Mase, a cui siederà anche Arera, coinvolgerà anche Confindustria e le stesse Snam ed Eni.
L’obiettivo del confronto con le aziende è acquisire studi e informazioni di carattere tecnico utili per la normativa, quali appunto l’indagine conoscitiva condotta dalle due aziende. Come saranno le nuove regole non è ancora noto, ma ad oggi la regolazione dei servizi di pubblica utilità più avanzata è quella inglese, che si basa su un business model regolato.
IL PROGETTO DI RAVENNA
Attualmente il progetto di Ravenna si trova nella fase 1, che prevede l’iniezione in giacimento di un massimo di 25 mila tonnellate di CO2 all’anno. Volumi che saranno catturati dalla centrale Eni di trattamento del gas naturale di Casalborsetti, sita nel comune di Ravenna. Successivamente, l’anidride carbonica verrà trasportata fino alla piattaforma offshore di Porto Corsini Mare Ovest. Infine, verrà stoccata nell’omonimo giacimento a gas esaurito a circa 3000 metri di profondità.
Il primo progetto di questo tipo su larga scala ha attirato su di sé critiche riguardo l’impatto ambientale. La ragione è che mancherebbe la valutazione d’impatto ambientale, che però per progetti di questa taglia non è prevista dalla direttiva della Commissione Europea sulla CCS n. 31 del 2009. Sarà invece necessaria per la fase 2, aperta agli emitters industriali, nella misura in cui i volumi potrebbero raggiungere 4 milioni di tonnellate all’anno al 2030 e 16 milioni negli anni successivi. Nel frattempo, però il Comitato Ets ha richiesto diverse prescrizioni ad Eni e Snam.
Va detto che al momento il progetto starebbe garantendo un livello di abbattimento della CO2 in uscita dalla centrale Eni superiore al 90%, con punte che toccano il 96%. Quello che rende il progetto di Ravenna il più efficiente su scala industriale al mondo è che la CO2 in questione ha una concentrazione di carbonio inferiore al 3% ed è a pressione atmosferica, le condizioni più severe esistenti dal punto di vista industriale. Inoltre, l’impianto di cattura della centrale di Casalborsetti è alimentato con energia elettrica da proveniente da fonti rinnovabili.
IL PROGETTO DI RAVENNA E’ PERICOLOSO?
La subsidenza del terreno e l’attività sismica rendono il progetto CCS di Ravenna un pericolo?
Ad oggi non si ha notizia di intoppi o criticità nelle operazioni in corso dall’inizio delle iniezioni. In secondo luogo, i giacimenti esauriti non subiranno danni in caso di terremoti grazie alle proprietà degli strati di roccia impermeabile che contengono la CO2 (caprock).
Quanto poi ad eventuali perdite durante il trasporto della CO2, Snam ha precisato più volte che i gasdotti non hanno mai interrotto il servizio per eventi meteoclimatici estremi, neanche durante i più importanti terremoti registrati negli ultimi 50 anni. In ogni caso, la CO2 ha un profilo di rischio molto basso.
C’E’ RISCHIO DI SOTTOIMPIEGO?
Il rischio di un sottoimpiego del sito di stoccaggio al largo di Ravenna non esiste. Infatti, da qui al 2040 la CO2 complessivamente stoccata dovrebbe superare i 350 milioni di tonnellate, secondo le stime delle società, per poi raddoppiare prima del 2050, riempiendo così i siti.
Le regioni che potrebbero contribuire con i maggiori volumi di CO2 sono Lombardia, Emilia-Romagna, Piemonte, Puglia e Veneto.