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Come la Guyana gestirà il boom del petrolio

Le riserve di petrolio della Guyana potrebbero ammontare ad 8 miliardi di barili. Ma il loro sviluppo è minacciato dalla crisi politica.

 

Dopo un riconteggio dei voti andato avanti per mesi, la vittoria alle elezioni presidenziali del 2 marzo in Guyana è stata infine assegnata all’opposizione. Domenica scorsa Mohamed Irfaan Ali, del Partito progressista popolare, ha prestato giuramento come presidente.

Sarà quindi lui a gestire il recente boom petrolifero che – questa è la speranza – rivoluzionerà l’economia della Guyana. L’ex-colonia britannica è uno dei paesi più poveri dell’America del sud ma quest’anno, a fronte di una contrazione regionale del 4,6 per cento, dovrebbe crescere del 51,7 per cento, secondo la Banca mondiale. In dieci anni il PIL pro capite, oggi di appena 5500 dollari, dovrebbe triplicare. Il merito è tutto del greggio.

LE TENSIONI POLITICHE E SOCIALI

Ma le tensioni e l’incertezza non sono finite con il giuramento di Ali. L’ex-presidente David Granger aveva inizialmente rivendicato la vittoria alle elezioni, salvo poi venire costretto ad accettare il riconteggio tra sospetti di frode. Adesso dice di rispettare l’annuncio della commissione elettorale, ma anche che impugnerà il risultato – che lo vede sconfitto per un margine del 3 per cento circa (150mila voti) – «in maniera legale e pacifica».

Contro di lui si erano però già schierati i Caraibi, l’Organizzazione degli stati americani e soprattutto gli Stati Uniti, con il segretario di stato Mike Pompeo che lo aveva invitato a farsi da parte, minacciando sanzioni.

Il partito di Granger – parte di una coalizione dal nome altisonante: Una partnership per l’unità nazionale/Alleanza per il cambiamento – aveva cercato di bloccare l’annuncio dei risultati definitivi, mentre gli attivisti avevano minacciato di rendere il paese ingovernabile per Ali.

La Guyana non era forse mai passata per elezioni così importanti. Lo scontro politico rischia peraltro di diventare sociale, dato che la politica guyanese riprende le divisioni etniche: la popolazione di discendenza africana sostiene cioè Granger, mentre quella di discendenza indiana (la maggioranza) appoggia Ali. La polarizzazione è estrema e ciascuna delle due parti temeva, in caso di vittoria dell’avversario, di venire esclusa dalla redistribuzione delle ricchezze petrolifere.

LA QUESTIONE PETROLIFERA

La cerimonia di inaugurazione dell’amministrazione Ali si terrà sabato 8. L’attenzione dell’industria petrolifera si concentra tutta su un preciso ministero, quello delle Risorse naturali, che al momento non è noto da chi sarà guidato.

Il mandato di Ali durerà cinque anni. Il 2025 è anche l’anno in cui la compagnia statunitense ExxonMobil conta di raggiungere un output di 750mila barili al giorno dal blocco offshore di Stabroek, dove la produzione è stata avviata nel dicembre scorso.

L’output nel campo Liza è attualmente di 100mila barili al giorno; nel mese di agosto dovrebbe salire a 120mila. La “fase 2” di Liza dovrebbe aggiungere altri 220mila barili al giorno per il 2022, e altrettanti la “fase 3”.

Nonostante le incertezze sul futuro dei combustibili fossili, il petrolio potrebbe comunque stravolgere l’economia della Guyana, che ad oggi si basa sulla coltivazione di riso e zucchero e sull’estrazione di bauxite.

Nel blocco Stabroek – dove opera ExxonMobil, assieme ai suoi partner Hess Corporation e China National Offshore Oil Corporation (CNOOC) – sono state trovate riserve recuperabili di greggio per 8 miliardi di barili equivalenti. Qualora venissero provate, le riserve guyanese sarebbero più grandi di quelle di Messico e Colombia, scrive il CSIS.

Lo sviluppo delle risorse petrolifere della Guyana, temono le aziende coinvolte, potrebbe venire rallentato dalla nuova amministrazione. Il Partito progressista popolare aveva infatti criticato il contratto firmato dal governo Granger con ExxonMobil – che prevede un tasso di royalty al 2 per cento e una divisione dei profitti al 50 per cento –, giudicandolo troppo generoso e svantaggioso per il paese. Ma Ali ha adottato toni più concilianti nei confronti della compagnia e smesso di pretendere la rinegoziazione dei termini dell’accordo.

Il governo Ali, insomma, sarà chiamato ad amministrare i proventi del petrolio. Un compito non facile per la Guyana: le istituzioni sono deboli e le competenze settoriali sono assenti.

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