Secondo il ministro della Difesa Guido Crosetto, la strategia di sicurezza nazionale deve “tenere conto” dell’approvvigionamento delle materie prime. “Non esiste industria, non esiste sviluppo, non esiste innovazione, non esiste sviluppo economico senza materie prime, senza una catena sicura di approvvigionamento a lungo termine”, ha scritto su X.
COSA HA SCRITTO CROSETTO SUL RUOLO DELLA CINA
“Secondo le ultime rilevazioni di JP Morgan”, ha aggiunto il ministro nel suo post, “in Cina è stoccato circa il 92% delle scorte globali di rame, il 57% di alluminio, il 68,2% di mais, il 51,5% di frumento, il 35,4% di soia e il 22,5% di petrolio. Il governo cinese controlla direttamente circa l’80% delle scorte di rame a livello mondiale. Per non parlare delle terre rare o del litio”.
LE CRITICHE DELLA DIFESA (E NON SOLO) AL DECRETO SULLE MATERIE PRIME
Di recente la Camera ha approvato il decreto-legge sulle materie prime critiche. Salutato con favore dal ministro delle Imprese Adolfo Urso, il provvedimento è stato invece criticato negli ambienti della difesa per la poca considerazione riservata alle esigenze del settore e allo sviluppo di una filiera italiana di lavorazione dei materiali grezzi. Gianclaudio Torlizzi, consigliere di Crosetto per le materie prime, ha dichiarato che “la Difesa ha fatto tutto quello che ha potuto per scongiurare un rischio che purtroppo diventa ora una certezza: ossia quella di favorire il depauperamento minerario del paese. Il paese da questo provvedimento ne esce sconfitto”.
Su Domani, Lorenzo Castellani, professore di Storia delle istituzioni politiche alla Luiss, ha scritto che il decreto “ha il merito di velocizzare le procedure per assegnare le concessioni per l’estrazione mineraria, tuttavia manca di una prospettiva più ampia. Ad esempio, non si è legata l’autorizzazione ad estrarre alla raffinazione dello stesso materiale sul territorio italiano con il risultato che gran parte dei minerali estratti finirà all’estero per essere lavorata. L’Italia si ritroverà così a ricomprare materie prime raffinate, in origine estratte nel nostro sottosuolo, a un prezzo più elevato”.
Il decreto, prosegue Castellani, “ha sì aperto le maglie per una maggiore e più rapida estrazione di materie prime ma non ha predisposto misure adeguate nel caso in cui si presentasse una situazione di scarsità dovuta ad eventi esterni. Siamo entrati in una fase in cui il libero mercato in alcuni settori deve necessariamente essere temperato dalla sicurezza nazionale e dall’affrontare ricorrenti stati d’eccezione, ma al governo non sembrano averlo capito tutti. Il tanto decantato interesse nazionale di cui molti ministri amano riempirsi la bocca è in questo caso del tutto trascurato e l’Italia non avrà possibilità di trattenere sul suo territorio i materiali estratti in caso di bisogno”.
PERCHÉ LA CINA STA ACCUMULANDO MATERIE PRIME?
A fine luglio l’Economist ha pubblicato un articolo per raccontare come la Cina stia aumentando le importazioni di tutti i tipi di materie prime – la crescita complessiva è stata del 16 per cento nel 2023 e del 6 per cento nei primi cinque mesi del 2024 – nonostante il rallentamento economico e nonostante i prezzi elevati.
È possibile che la dirigenza cinese voglia garantire la sicurezza delle catene di approvvigionamento in previsione di future crisi geopolitiche con gli Stati Uniti, considerato che il paese è sì un grande raffinatore ma è dipendente dall’estero per la maggior parte delle materie prime minerarie, energetiche e alimentari: Pechino importa il 70 per cento del fabbisogno di bauxite e il 97 per cento di cobalto, il 40 per cento di gas naturale e il 70 per cento di petrolio greggio, l’85 per cento di soia per gli allevamenti di suini e pressoché l’interezza dell’olio di palma.
Dalle analisi di Vortexa sappiamo che dal 2020 la Cina ha aumentato la propria capacità di stoccaggio di petrolio da 1,7 miliardi di barili a 2 miliardi; tra il 2010 e il 2020 la capacità di stoccaggio sotterraneo di gas naturale è cresciuta di sei volte, arrivando a 15 miliardi di metri cubi, ed entro la fine del 2025 dovrebbe salire a 55 miliardi. Secondo JPMorgan Chase, considerate anche le navi metaniere per l’immagazzinamento di gas liquefatto, al 2030 la capacità di stoccaggio di gas del paese arriverà a 85 miliardi di metri cubi in tutto.
Dal 2018 le scorte di fagioli di soia sono raddoppiate a 39 milioni di tonnellate; secondo il dipartimento dell’Agricoltura statunitense le scorte cinesi di grano e masi rappresentano il 51 e il 67 per cento del totale mondiale. Quanto ai metalli come il rame e il nichel, le stime della banca Panmure Liberum dicono che il paese dispone di rifornimenti sufficienti a coprire dal 35 al 133 per cento della sua domanda annua. Le riserve di greggio, invece, stanno raggiungendo gli 1,3 miliardi di barili, quanto basta per coprire 115 giorni di importazioni, e lo scorso marzo le autorità hanno ordinato alle società petrolifere di aggiungere 60 milioni di barili alle loro scorte.
“Questo accumulo di scorte preoccupa gli americani”, scrive l’Economist, “e non solo perché potrebbe alimentare l’inflazione facendo aumentare i prezzi delle materie prime. Le scorte che la Cina cerca sono quelle di cui avrebbe bisogno per sopravvivere a un conflitto, magari mentre blocca Taiwan”. Il settimanale aggiunge però che lo stato delle cose suggerisce che questo accumulo “è più probabilmente una misura difensiva, dal momento che non è ancora su una scala tale da garantire la sicurezza in un conflitto armato. I funzionari americani dovrebbero osservare attentamente il momento in cui questa situazione inizierà a cambiare”.
Al di là delle possibili ragioni belliche, l’immagazzinamento di materie prime critiche potrebbe permettere alla Cina di esercitare una forte influenza – tra controllo delle forniture e dei prezzi – sui mercati dell’energia fossile e dei metalli per la transizione ecologica, esponendo potenzialmente le altre nazioni a rischi di approvvigionamento.