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Gas

Gas, ma i piani di Italia e Ue sono convergenti o divergenti?

Il governo Meloni vuole rendere l’Italia un hub del gas per il nord Europa. Ma il progetto cozza con gli obiettivi europei per la decarbonizzazione: rischiamo di investire in infrastrutture che non riusciranno a dare i ritorni stimati. L’articolo di Sergio Giraldo Con la doppia missione in Nord Africa dello scorso gennaio, il governo di…

Con la doppia missione in Nord Africa dello scorso gennaio, il governo di Giorgia Meloni sta attuando una strategia di consolidamento dei rapporti con Algeria e Libia. Al di là del nome altisonante dato all’iniziativa italiana (Piano Mattei), l’idea è di creare le condizioni per aumentare i flussi di gas dai due paesi più l’Azerbaigian, anche per fare dell’Italia un paese di transito del gas verso il nord dell’Europa. A quanto si è capito, il governo prevede che dall’Italia passino 140 miliardi di metri cubi di gas all’anno. La possibilità di fare della penisola un hub del gas nel Mar Mediterraneo è diventata più concreta dopo gli avvenimenti dell’ultimo anno, che hanno segnato una rivoluzione nel mercato del gas continentale. L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia nel febbraio 2022 ha creato una turbativa che ha peggiorato una già esistente crisi di offerta che aveva fatto alzare i prezzi.

FARE A MENO DELLA RUSSIA PER IL GAS

Con la presentazione del programma REPowerEU il 18 maggio del 2022, l’Unione europea, decidendo di fare a meno del gas russo nel più breve tempo possibile, accendeva l’urgenza di trovare fornitori alternativi. Dopo pochi mesi, nell’agosto 2022, la Russia ha diminuito e poi sospeso i flussi di gas attraverso il gasdotto Nord Stream 1. Nel settembre scorso, infine, le esplosioni sul fondo del mare del Nord hanno posto fine alle residue speranze di rivedere gas russo arrivare in Germania attraverso la direttrice Nord. Ad oggi, quantitativi ridotti di gas continuano ad entrare in Austria e Italia dalla Russia attraverso l’Ucraina, nonostante la guerra.

LA CORSA AL GNL

La necessità di trovare nuove fonti ha spinto l’Europa a rivolgersi al mercato del gas liquefatto (LNG), un mercato molto diverso da quello del gas via tubo. L’Unione europea ha iniziato ad importare più LNG per compensare i ridotti flussi dalla Russia, ma si è trovata a fare i conti con la ridotta disponibilità di infrastrutture adatte, i rigassificatori. I pochi esistenti erano già saturi, così si è deciso di investire in impianti galleggianti per la rigassificazione. Si tratta di grosse navi (FSRU) che ricevono in mare il gas liquido dalle navi metaniere e lo riversano nei gasdotti a terra. In Italia, SNAM ha acquistato due navi, che saranno installate a Piombino e a Ravenna, per un investimento di circa 1,4 miliardi di euro (comprensivi degli investimenti infrastrutturali di installazione e collegamento)

In Germania, il governo tedesco ha preferito invece affittare le navi FSRU, fino a sei, con costi minori. Nello scorso mese di gennaio, Snam ha reso noto il suo piano strategico, nel quale prevede investimenti complessivi per 9 miliardi sulla infrastruttura gas, di cui 1,4 per LNG, come abbiamo già visto, 1,3 miliardi per gli stoccaggi e ben 6,3 sul trasporto, compresi gli investimenti relativi al potenziamento della Linea Adriatica. Questo rafforzamento è necessario, se si vuole fare dell’Italia un hub mediterraneo del gas: l’attuale capacità di compressione, infatti, al momento limita la capacità di importare gas da Sud. Secondo Snam, l’investimento porterebbe la capacità di trasporto lungo la direttrice Sud-Nord da 126 a 150 milioni di metri cubi al giorno, a fronte di una capacità in entrata da Sud di 191 milioni di metri cubi al giorno. Il rafforzamento della dorsale adriatica dovrebbe essere terminato entro il 2027 e operativo dal 2028.

IL PARADOSSO EUROPEO

Sin qui i progetti italici sul gas. L’Unione europea però punta a decarbonizzare l’energia. Il piano europeo Fit for 55 dichiara che al 2030 l’Unione europea nel suo complesso dovrà consumare circa il 30% di gas in meno rispetto ad oggi. Approssimativamente, un calo dei consumi di oltre 120 miliardi di metri cubi. Per l’Italia si tratterebbe di passare a circa 50 miliardi di metri cubi di consumo, dai poco più di 70 del 2021. Inoltre, sempre al 2030, il piano prevede che il 45% dell’energia elettrica nell’Unione europea sia generata da fonti rinnovabili, togliendo spazio alla produzione termoelettrica.

Ecco, dunque, il paradosso della attuale situazione. Sul gas c’è urgente necessità di volumi e capacità di rigassificazione e trasporto, per sostenere i consumi attuali. Ma allo stesso tempo, secondo i piani europei entro il 2030 tutto ciò che viene fatto adesso per aumentare questa disponibilità dovrebbe risultare ridondante. Se il destino del gas secondo le politiche europee è segnato, gli investimenti attuali in sovracapacità che ritorni potranno avere?

Il potenziamento della dorsale adriatica di Snam renderà l’aumento dei flussi da Algeria, Libia e Azerbaijan meglio gestibile ed è un investimento che va fatto comunque, anche per ragioni di sicurezza. Ma non sarebbe sufficiente ad integrare capacità aggiuntiva come quella dei due altri rigassificatori che il governo vorrebbe avviare (Porto Empedocle e Gioia Tauro, per una capacità ulteriore di 16 miliardi di metri cubi all’anno). Al quadro generale disegnato dal governo manca forse un nuovo gasdotto, magari il progetto Galsi archiviato anni fa? Se è così, non si rischia di investire in qualcosa che prima ancora di entrare in funzione sarà già fuori mercato? Forse il governo non crede che gli obiettivi al 2030 saranno raggiunti e dunque preferisce mantenere vivo il corridoio del gas, al limite anche con il rischio della ridondanza.

Più ragionevolmente, il doppio binario su cui ci troviamo rappresenta in realtà una grossa inefficienza nella gestione europea della transizione, che con l’improvvida accelerazione impressa dal REPowerEU ha imposto ulteriori costi a un conto già salatissimo. Secondo un approfondito studio dell’Istituto Bruegel, in Unione europea lo shock energetico è costato ai governi 680 miliardi di euro. Gli investimenti nelle infrastrutture per il gas restano necessari, ma per avere un senso economico dovranno contare su un consistente ritardo nella transizione ecologica. Il rischio è di trovarsi al 2030 con un altro pesante fardello di costi irrecuperabili e qualche nuovissima cattedrale nel deserto destinata ad arrugginire.

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